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Ogliastrini nel mondo. La villagrandese Silvia Rais e i suoi ultimi vent’anni passati a Berlino

La prima cosa che racconta Silvia Rais – villagrandese quarantaduenne – è che, a diciannove anni dalla partenza per la grande Berlino, fare un riassunto non è facile. Bisogna fare un salto all’indietro di due decenni, quasi.

Silvia si diploma all’Istituto statale d’Arte a Lanusei, poi lavora saltuariamente a Villagrande, dapprima al panificio, poi in un bar. Alla fine approda al Ristorante Il Bosco di Santa Barbara. Lì conosce Fiorenzo, l’uomo che diventerà suo marito.

«Avevo ventitré anni, quando sono partita. È stata una decisione molto ponderata. Diciamo che ci ho pensato per un anno intero.» dice Silvia. La condizione lavorativa non è delle migliori, inoltre “c’era la voglia di cambiare, di lavorare, di formare una famiglia” senza considerare poi che “la Sardegna, allora, non dava molte speranze ai giovani”.

Inizia così l’avventura a Berlino. Perché proprio Berlino? «Avevamo dei contatti, quindi un punto di riferimento. Ci siamo detti che era giusto provare, d’altronde non avevamo nulla da perdere.» L’arrivo in Germania non è stato facile – spiega –, devono cercare subito un impiego. Sono anche necessari dei corsi di lingua. «Ci siamo buttati subito a lavorare nel campo della gastronomia italiana, come tutti gli italiani che partono senza piani precisi.»

Non è facile lasciare il proprio porto sicuro, e questo, dal racconto di Silvia, traspare chiaramente.

«L’impatto è stato forte da ogni punto di vista. Il clima è rigido, la lingua complicata. Inoltre è stato difficile adattarsi a una mentalità nuova. Siamo partiti da un piccolo paese, arrivare a Berlino è stato un salto enorme.» Tuttavia, nonostante gli ostacoli, riescono a stabilizzarsi presto in modo definitivo.

«Nel giro di pochissimo tempo siamo riusciti ad avere un lavoro – e quindi, con un contratto, abbiamo preso un appartamento – e un’assicurazione. Era una situazione stabile, vivibile, ed era quello di cui avevamo bisogno.»

Berlino è tutta da scoprire – ci dice – ed è una città cosmopolita, bellissima, ricca di storia. «Io la considero una delle capitali più affascinanti d’Europa. È una mescolanza di culture che si intrecciano tra loro e che convivono bene insieme. È la città dei giovani, sì, ma anche degli anziani. Io rendo sempre l’idea parlando di un monumento importante, la Chiesa della Memoria (in tedesco: Gedächtniskirche): sarebbe la Chiesa danneggiata dal bombardamento del 1943, a fianco di essa sono state costruite nuove architetture. È bello vedere vecchio e nuovo che si legano.»

Ama Berlino, questo traspare dalle sue parole, e rifarebbe questa scelta. Ama anche la Sardegna, però, e ci ha lasciato il cuore. Soprattutto all’inizio – quando la nostalgia è viva e il mondo dove si è arrivati appare diverso, troppo distante rispetto a ciò che si conosce – è viva la voglia di ripartire. Sono famiglia e amici, a mancare, certo, ma anche il paese in sé.  «Con il tempo tutto si attenua, però. La Germania mi ha dato tanto.»

Comunque, – rivela – il senso di mancanza è forte ancora adesso. «Una cosa buona dei giorni d’oggi è la tecnologia in costante evoluzione: permette di mantenere i contatti e, malgrado la distanza, di vedersi.»

Il tempo scarseggia, se si toglie quello passato a lavorare. Dopo tanti anni nel settore della gastronomia, dice Silvia, un corso come operatrice sociosanitaria le permette di entrare nel capo della sanità. Lavora per quattro anni in una casa di riposo, poi, come OSS, viene assunta nell’ospedale Sankt Gertrauden Krankenhaus.

«Che dire della famiglia, poi? Ho un marito dolcissimo che lavora come cuoco e due splendidi bambini, Salvatore e Veronica. Sono una mamma soddisfatta, mi ritengo fortunata: ho una bella famiglia, un buon lavoro, tanti amici – italiani e stranieri – che incontro spesso per fare una chiacchierata e distrarmi un po’. Anche lontani da casa, si va avanti. Il tempo passa e quasi non ci si accorge di quanto sia veloce. Ogni anno, quando giunge il momento di partire, ho una grande ansia: l’idea di riabbracciare la mia famiglia, di rivedere i nipoti – trovandoli cresciuti, ahimè – e di riassaporare i sapori della Sardegna mi riempie il cuore di gioia.»

Quando si torna, rivela la villagrandese, seppur per poco tempo, ci si rituffa nella propria terra.  «Passeggiare per il paese che mi ha vista crescere, assaporare la cucina e perdermi in questa nostra splendida isola: ecco cosa amo fare.»

Conclude invitando i giovani ad avere coraggio, a buttarsi nelle nuove esperienze. «Partite, provate… la vita è anche questo.»

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