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Tra guerra e prigionia, la storia del centenario ilbonese Elia Cucca

Elia Cucca (foto di Elisabetta Loi e Sergio Melis)

Classe 1917, un portamento fiero custodito in un corpo rimpicciolito dagli anni, mani vissute, sguardo austero racchiuso dietro l’ombra di una berritta, camminata lenta, pesante, ma mai indecisa: lui è Elia Cucca, neocentenario di Ilbono.

Tziu Elia attualmente vive solo, dopo una vita molto intensa, intervallata da una dura parentesi: dal 1939 al 1946 il centenario ilbonese ha vissuto le sofferenze della  guerra e della prigionia. Di quegli anni in divisa a volte concede il racconto, tormentoso ma composto, di lunghi periodi in catene, in balia degli eventi che hanno scandito la Seconda guerra mondiale.

«Sono stato prigioniero in India, colonia britannica, per mano degli inglesi» racconta oggi Elia Cucca, a distanza di più di 70 anni «C’era la guerra in Libia allora, arrivava fino alla Tunisia e all’Egitto: è qui che ci hanno fregato – prosegue – durante uno spostamento siamo stati catturati i potenti inglesi».

«Eravamo in tanti. Con me ricordo che c’era anche un sottotenente dei Carabinieri di Tortolì, mi pare si chiamasse Gianni Serpi. Dopo la cattura – racconta sempre Tziu Elia – ci hanno portato in India, prima a Calcutta e poi a Bombay. Mi hanno fatto vedere tantissimi posti, ma dentro un sacco. Da prigioniero non hai libertà. Quando ti trovi in questa condizione, durante il giorno (se sei fortunato) non fai niente: per un paio di volte al massimo ti contano, spostandoti insieme a tutti gli altri prigionieri dentro un reticolato, e poi il nulla».

Dopo durissimi mesi di prigionia, il trasferimento dall’India all’Inghilterra, via mare, all’interno di uno dei sacchi riposti in stiva.

«Siamo passati per il Mar Rosso» racconta il centenario ogliastrino, con una lucidità che gli permette di viaggiare nuovamente tra i ricordi «In seguito abbiamo attraversato il Canale di Suez, lo stretto di Gibilterra e poi siamo arrivati a Liverpool. Il tutto, in un sacco al buio. Mi rendevo conto di poche cose, durante la tratta non vedevi la luce, però la sensazione che ricordo bene è quella di vuoto dopo l’esplosione delle bombe che la nostra imbarcazione lanciava in mare contro eventuali sottomarini».

Un’esperienza forte,  ma «quando si è giovani si riescono a superare anche le cose peggiori» racconta con emozione «Non ce lo aspettavamo quando è arrivata la liberazione. Eravamo a Liverpool, lì ci hanno detto che ci avrebbero portato in aereo a Napoli, anche se poi siamo stati vittima di un loro ultimo scherzo: l’aereo in realtà è atterrato in Scozia, da lì abbiamo proseguito in nave fino a Napoli, seminudi, per alleggerire il bagaglio». Poi, finalmente, il rientro.
«Piano piano hanno iniziato a rimandarci a casa a guerra finita, noi sardi per ultimi. A casa però i problemi non erano finiti: i tedeschi comandavano, ho subito ancora un pò Mussolini, poi però ha fatto fine brutta anche lui. Era troppo autoritario – ricorda – la sua propaganda era forte, ma l’Italia non stava bene: la democrazia e il fascismo non possono andare d’accordo».

Una vita costellata da ostacoli e sofferenze, trascorsa dopo la guerra tra i campi ilbonesi, inaugurata oggi ogni mattina con una passeggiata fino all’edicola per comprare il giornale, e inframmezzata dalle saltuarie tappe a Lanusei dal barbiere, a piedi. Come arrivare a 100 anni? «Se arrivano, arrivano, semplice». 

Severo, sui “tempi moderni” commenta: «Anche adesso siamo sempre in guerra. Nonostante il progresso della scienza, ancora oggi c’è sempre chi scavalca gli altri, per sentirsi superiore. C’è posto per tutti a questo mondo, eppure il pesce grosso tenta sempre di mangiare il pesce piccolo, almeno questo è quello che, dopo 100 anni, mi pare di aver capito».

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