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L’avventura di Marco e Paola: da San Gavino all’Eritrea per insegnare l’italiano

È il 2009. Marco Pisu e Paola Marras, marito e moglie, vivono a San Gavino, dove lui lavora come insegnante di italiano e storia al liceo psicopedagogico. La loro vita scorre normale, un figlio di 17 anni e uno di appena 14 mesi, ma la coppia viene conquistata dalla curiosità, dalla voglia di cambiare e di conoscere, e Marco decide così di partecipare al bando del Ministero degli Esteri per insegnare nelle scuole italiane all’estero.

Tra le otto sedi a disposizione, tra cui diverse sono europee e riserverebbero probabilmente un modo di vivere abbastanza simile al nostro, i due scelgono la sfida: destinazione Africa, Eritrea. Lì, anche se in pochi lo sanno, c’è la scuola italiana statale all’estero più grande del mondo, con 1200 studenti iscritti di cui la maggior parte è eritrea, ma in cui sono presenti anche diversi cittadini italiani.

L’impatto, in una realtà così diversa dalla nostra, non è facile: «Non è stato semplice abituarsi –, confessa Marco – una volta lì si perdono degli agi che noi siamo abituati a dare per scontati, ad esempio si ha la corrente per mezza giornata e anche l’acqua manca spesso, per non parlare – aggiunge – della sanità quasi inesistente». Eppure in questo paese un italiano può sentirsi da subito un po’ a casa sua. La capitale Asmara infatti, dove si trova l’istituto comprensivo italiano, è stata interamente costruita da italiani, tanto da essere soprannominata “Piccola Roma”. Non per niente, l’Eritrea è stata una colonia italiana dalla fine dell’Ottocento e sino all’occupazione britannica, avvenuta nel 1941, ed il retaggio culturale è ancora estremamente percepibile in questa terra: «Tantissimi scorci di Asmara e delle altre città ricordano Carbonia o Fertilia – racconta l’insegnante –; la loro lingua, il tigrino, conta circa 2500 prestiti italiani, e molti negozi sono fermi nel tempo, cosa a cui – dice sorridendo – noi sardi ci adeguiamo benissimo perché ci ricordano l’infanzia.

Marito e moglie ci parlano di un luogo in cui è molto difficile entrare e da cui in moltissimi oggi cercano di andare via, in cui la scuola è un’istituzione cardine ma la sanità è ridotta quasi a zero; ci dicono di una dittatura molto rigida e di una società ricca di contraddizioni, con le donne che sono spesso palesemente sottoposte agli uomini ma fanno anche mestieri convenzionalmente “maschili” come guidare gli autobus; ci raccontano di famiglie di frequente smembrate dalle migrazioni, ma per cui l’idea che viaggiare per studiare e fare esperienza è del tutto normale. Il divario economico tra le classi sociali è una piaga ben radicata, ma la povertà nelle strade è «sempre dignitosa, mai eclatante». E nonostante tutto, secondo Paola, possiamo avere tanto da imparare: «Una cosa che salta all’occhio è come le diverse etnie e religioni convivano in maniera del tutto pacifica, con i rituali dei diversi culti – ci dice – visti da tutti come un momento di aggregazione, anche da chi non professa quella fede. Quindi – osserva – potremmo apprendere moltissimo per lo meno dal punto di vista della tolleranza».

E dopo un’esperienza del genere, ci dicono, il razzismo non si riesce più nemmeno a concepirlo. Asmara, gioiellino diventato in queste settimane patrimonio dell’Unesco, così come tutta l’Eritrea, sono rimaste nel cuore di questa famiglia, che dal 2014 si è trasferita in Etiopia per proseguire l’esperienza di insegnamento all’estero, esperienza che consigliano a chiunque come momento di crescita e conoscenza. Paola conclude riprendendo una frase del generale Amedeo Guillet che secondo lei è rappresentativa, riferendosi al debito che forse un po’ tutti gli ex colonizzatori hanno: «Gli eritrei furono splendidi. Tutto quello che potremo fare per l’Eritrea non sarà mai quanto l’Eritrea ha fatto per noi».

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