Nuovi schiavi del lavoro. Se ne discute in Costa
Nuovi schiavi e concorrenza sleale nel turismo: la Cisl nazionale lancia la sfida al Governo italiano e all’Europa per un nuovo Piano straordinario del lavoro. Un piano straordinario sul lavoro a livello regionale, nazionale ed europeo per il turismo
Nuovi schiavi e concorrenza sleale nel turismo: la Cisl nazionale lancia la sfida al Governo italiano e all’Europa per un nuovo Piano straordinario del lavoro.
Un piano straordinario sul lavoro a livello regionale, nazionale ed europeo per il turismo basato sulla qualità dell’offerta turistica e la professionalità degli operatori: misura indispensabile per combattere il fenomeno, sempre crescente, dello sfruttamento dei lavoratori low cost.
La Cisl nazionale lancia la sfida da Porto Cervo durante il convegno-denuncia incentrato su una realtà sempre più diffusa nelle strutture turistiche italiane senza eccezione per quelle sarde: “I nuovi schiavi low cost e la concorrenza sleale nel mercato turistico nazionale, la competizione non si gioca sul costo del lavoro ma sulla qualità della produzione – spiega la Furlan – per questo occorre creare sinergie forti col sistema Paese premiando investimenti sul lavoro con scelte mirate alla qualità professionale degli uomini e delle donne> e da Oriana Putzolu, segretaria regionale della Cisl: <Per arginare l’emorragia di posti di lavoro chiedo all’assessore Morandi l’impegno per un piano straordinario del lavoro che favorisca le imprese locali e imponga delle regole all’ingresso delle multinazionali in Sardegna”.
L’invito è stato raccolto dall’assessore regionale al Turismo Francesco Morandi, il quale ha annunciato “un Piano straordinario per il lavoro incentrato sul turismo e sui servizi.Stiamo lavorando per incentivare l’occupazione con l’allungamento della stagione ma è fondamentale puntare sulla qualità dell’offerta con imprese che formino professioni e addetti di alto livello, puntando su un target turistico medio alto. È questo il segmento che crescerà e garantirà più stabilità nel rapporto di lavoro. Occorre inoltre investire in conoscenza per intercettare i nuovi flussi del turismo globale”.
Al Conference Center di Porto Cervo, si è svolto il convegno “Quando la libertà economica prevale sui diritti dei lavoratori: che fare? Il caso dello sfruttamento dei lavoratori low cost e la tutela del sistema turistico”. Hanno partecipato Annamaria Furlan , segretaria nazionale confederale Cisl; Pierangelo Raineri, segretario generale nazionale Fisascat; Oriana Putzolu, segretaria generale Cisl Sardegna; Giommaria Uggias, eurodeputato dell’IDV; Francesco Morandi, assessore regionale al Turismo; Marco Demurtas segretario generale Fisascat Sardegna; Mirko Idili, segretario generale Cisl Gallura; Alberto Valenti, ricercatore in diritto del lavoro dell’Università di Sassari; Franco Mulas, direttore generale Starwood e Alberto Ragnedda, sindaco di Arzachena.
Durante il convegno la Cisl ha denunciato alcuni casi (sempre più numerosi, anche in Sardegna) in cui imprenditori turistici hanno assunto manodopera low cost proveniente dall’est Europa per svolgere dei lavori a basso costo che, fino a oggi, sono sempre stati appannaggio delle cooperative di servizi locali: manutentori, giardinieri, squadre di colf bulgare (le più convenienti sul mercato europeo). L’imprenditore che assume il lavoratore low cost risparmia tantissimo: esistono esempi di lavoratori con contratti da 4 ore al giorno a 650 euro al mese, che in realtà arrivano a lavorare fino a 15 ore al giorno per 1000 euro al mese, parte dei quali percepiti in nero. Per lo stesso numero di ore, un italiano costa almeno tre volte tanto. Naturalmente, lo schiavismo di importazione si basa sul fatto che in Romania, per esempio, un lavoratore guadagna mediamente 140 euro al mese. Si profila quindi una crisi indotta sia del mercato del lavoro a livello nazionale sia del sistema turistico. Abbastanza facile ipotizzare l’avvio di una guerra al ribasso tra strutture ricettive che non puntano più sulla qualità dei servizi, ma sul costo del lavoro: procurandosi un vantaggio competitivo derivante da una pratica di “dumping commerciale”.
Per questo diventa fondamentale il Semestre di Presidenza italiana della Ue per porre in sede legislativa europea il problema forte della “governance” complessiva a livello comunitario che eviti un fenomeno di “vasi comunicanti” dove i lavoratori a basso costo si trasferiscono verso i Paesi ricchi, mentre le industrie del turismo acquisiscono strutture turistiche sempre più in crisi. Da qui al 2020 l’Italia avrà 150 miliardi di euro da investire tra fondi europei e nazionali. Per investirli al meglio si deve puntare sull’innovazione, la formazione e la ricerca. L’Italia negli anni della crisi ha perso 25 punti di produzione perché non è stata nemmeno capace di spendere i finanziamenti europei. Dobbiamo rimettere al centro delle nostre politiche l’innovazione e la ricerca aumentando la competitività del sistema Paese e il Semestre europeo a guida italiana deve puntare su questi temi partendo dagli “ultimi”: quel 20% di lavoratori, 3 milioni in Italia, che non sono rappresentati da nessuno dei 400 contratti collettivi nazionali. Fenomeni di vero e proprio “sciacallaggio sul lavoro” che nulla hanno a che fare con la globalizzazione. Il nostro motto deve essere: “Costruiamo l’Europa del lavoro”.
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Uomo e poliziotto per 49 anni, ora donna e attrice. Carla Baffi: «Ho trovato il coraggio di essere me stessa»
«Mi capita di fermarmi a riflettere, mentre sono per strada fasciata in una bella minigonna, con i tacchi a spillo, orgogliosa del mio seno prorompente: penso che solo sette anni fa per me sarebbe stato impensabile il poter essere libera di passeggiare per strada così, come sono, come mi sento da sempre.» La storia di Carla Baffi, esempio di libertà
C’è chi dice che trovare la felicità sia, tutto sommato, facile. C’è anche chi non la crede raggiungibile – i più cinici, si potrebbe dire. C’è persino chi dice che dura un nanosecondo e nulla più e che è privilegio di pochi. E c’è chi lotta ogni giorno, ogni singolo giorno della propria vita, per poter essere se stesso o se stessa, senza nessuna catena, perché di fatto solo se si è liberi e libere si può essere felici. Felicità e libertà vanno di pari passo, almeno secondo un modo di vedere razionale e umano.
«Per tutta la vita, sin dall’età di sette anni, ho saputo di essere Carla.»
Inizia così il racconto di Carla Baffi, olbiese, che qualche anno fa si è liberata dalle paure di far soffrire gli altri per tutelare la propria identità, per vivere appieno una vita che sentiva sua ma che – per non ferire chi aveva accanto – nascondeva.
Nata Enzo Giagoni, si è sempre sentita una farfalla chiusa dentro il bozzolo perché lei era Carla, da sempre. E per 49 anni, 49 lunghi anni per la precisione, Carla permette a Enzo di vivere la sua vita per proteggere gli altri, per non infliggere loro sofferenza, calpestando la sua vera essenza. Poi esce finalmente allo scoperto. E questa è una soddisfazione unica, una liberazione, una boccata d’aria pura.
«Vivo adesso la mia vita con serenità, con prospettive di vita che finalmente rispecchiano la mia anima. Le persone intorno a me hanno avuto molta attenzione, un modo molto sensibile di affrontare questa novità.»
E sì, perché Carla c’è sempre stata, come abbiamo detto, ma era nascosta, mentre era Enzo ad avere la possibilità di lavorare – in Polizia per tantissimi anni –, di stringere amicizie, di incontrare nuove persone.
«Molti, essendo della mia stessa città, hanno dovuto fare un percorso per accettare questa vita che per me era vecchissima ma per loro nuova. Era difficile, ovviamente, scindere Enzo da Carla» continua. «Alcuni ancora si rivolgono a me con il maschile, ma non lo fanno con cattiveria, è che ci vuole un lavoro di accettazione. Ho comunque riscontrato una grande sensibilità.»
Il suo timore non era il giudizio dalla società, ma dare dolore alle persone a lei care.
«Mia madre mi trovava in abiti femminili, soffriva, e io per non perdere il suo affetto o non causarle tristezza soffocavo me stessa. Per 49 anni mi sono travestita da maschio,» dice, «anche perché la vita di Enzo non c’è mai stata. Carla gli ha concesso la possibilità di esistere, l’ha mandato avanti perché ancora non era pronta a vivere la vita che le spettava. Ma poi si è resa conto che era arrivato il momento di essere libera, di uscire dal bozzolo, di diventare una farfalla.»
Il coraggio di uscire allo scoperto le arriva da una donna di Cagliari, una persona per lei importantissima.
«Come tutte le donne della mia vita, sapeva di Carla. Ho sempre detto alle mie compagne chi ero, erano libere di scegliere se accettare o meno questa cosa. Ecco, Donatella mi disse, un giorno: “Basta, hai rotto le scatole, tu sei Carla da tutta la vita. Finiscila di prenderti in giro, fai questo percorso e sii te stessa.” Questo fece nascere in me la certezza di voler essere fisicamente quel che ero nell’anima: ho rotto quindi quelle catene e sono stata quella che ero, che mi ero sempre sentita. Allo specchio, vedevo una bellissima bambina, poi adolescente e poi adulta ma il mio corpo non mi rispecchiava.»
Adesso, Carla Baffi sta bene, è felice, serena. Organizza degli spettacoli teatrali con la compagnia Barbariciridicoli di Ottana per raccontare la sua storia.
«Dico sempre che la vita mi ha tolto tanto, ma mi ha dato anche tanto: ora so che è bella in ogni caso, vale sempre la pena di viverla, bisogna creare e non distruggere, crearsi e non distruggersi. Mi capita di fermarmi a riflettere, mentre sono per strada fasciata in una bella minigonna, con i tacchi a spillo, orgogliosa del mio seno prorompente: penso che solo sette anni fa per me sarebbe stato impensabile il poter essere libera di passeggiare per strada così, come sono, come mi sento da sempre. Mi capita anche di incontrare qualcuno che mi conosceva come Enzo e che mi dice: “Ciao Carla, mamma mia come ti vedo bene! Si vede che sei serena.” Per me è meraviglioso.»
Ma è un evento di un mese fa a renderla ancor più lieta.
«All’inizio di settembre c’era il compleanno del mio nipotino, figlio di mia figlia. Sono andata a cena con loro per festeggiare, io avevo un bellissimo tailleur, i tacchi alti, un trucco appariscente e ridevo con mia figlia, scherzando del più e del meno. Ecco come ricordo la serata: serena, piena di risate e di normalità.»
Chiude poi con un messaggio importante: «Non vale la pena soffrire, è un’alternativa troppo brutta. Ognuno e ognuna di noi dovrebbe essere se stesso e se stessa, vivere sulla propria pelle la libertà di essere chi vuole senza paura. Ecco, non bisogna mai rinunciare alla propria felicità: l’alternativa è soffrire, non ne vale mai la pena.»
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