Detti e modi di dire milanesi: “Va’ a Bagg a sonà l’òrghen”
Detti e modi di dire milanesi: “Va’ a Bagg a sonà l’òrghen”. Quando si parla di dialetto, tra le espressione più simpatiche ci sono senza dubbio gli insulti e le parolacce. Quella dell’offesa è secondo molti una vera e propria
Detti e modi di dire milanesi: “Va’ a Bagg a sonà l’òrghen”.
Quando si parla di dialetto, tra le espressione più simpatiche ci sono senza dubbio gli insulti e le parolacce. Quella dell’offesa è secondo molti una vera e propria arte che permette di capire un po’ della cultura di un territorio. Senza dimenticare che Milano non è una città per signorine ma un luogo dove se tu sei uno stupido trovi sempre qualcuno che te lo ricorda. Scoprite che cosa si nasconde dietro questa espressione colorita.
Come un po’ tutti i dialetti e le parlate italiani, quello milanese ha la particolarità di rappresentare al meglio le persone che lo parlando: gli abitanti di Milano.
Il dialetto milanese può contare tra l’altro su una notevole tradizione letteraria: da Bonvesin de la Riva (1240-1315) fino alle poesie di Carlo Porta (1775-1821) per arrivare a Carlo Emilio Gadda.
Nel 1980 il Circolo Filologico Milanese ha creato persino una grammatica, un manualetto di scrittura e un vocabolario cercando di rivitalizzare una parlata sempre meno usata.
Baggio è un quartiere di Milano, posto nella periferia occidentale della città. Prima era comune autonomo, adesso è una frazione del capoluogo lombardo.
Il detto Va’ a Bàgg a sonà l’orghén in italiano significa letteralmente: “Va’ a Baggio a suonare l’organo.” E’ un invito rivolto a una persona a fare qualcosa di impossibile o ad andare a quel paese.
Il detto si riferisce alla presenza di un organo dipinto all’interno della chiesa di Baggio, dato che la chiesa per mancanza di fondi non aveva potuto permettersene uno vero. Il modo di dire viene utilizzato quindi per sottolineare la stupidità di alcune persone (senza dimenticare che Baggio dista 8 km da piazza Duomo).
Come detto è un invito a fare qualcosa di impossibile visto che la chiesa di Sant’Apollinare era sprovvista dell’organo, e pertanto nessuno lo poteva suonare. Sulla genesi del motto ci sono diverse interpretazioni: la più famosa di esse racconta che in realtà ci fosse un piccolo organo in chiesa, ma solo dipinto sul muro. Un’altra versione racconta che i soldati napoleonici avessero asportato le canne dell’organo per farne cannoni rendendo così lo strumento inutilizzabile.
In ogni caso, non si poteva proprio suonare un organo nella chiesa. Se ti invitano a farlo, in realtà ti stanno proponendo di fare qualcosa di impossibile.
Questa tipica espressione meneghina, che è usata per togliere di mezzo qualche scocciatore e mandarlo a fare una cosa impossibile, nasce da un fatto veramente accaduto; ecco come e quando.
Baggio, era un piccolo borgo sulla strada per Magenta. Fin dal 1070 esisteva una piccola chiesa parrocchiale. Intorno al 1865, visto che la chiesetta era ormai insufficiente a contenere l’accresciuta popolazione, fu deciso di ampliarla; furono cosi raccolti i soldi sia per le opere in muratura, ma soprattutto per dotarla di un organo che fosse il vanto dei parrocchiani.
Alla fine dei lavori, ci si accorse che tutti i soldi erano stati spesi ancora prima di aver acquistato l’organo. Poiché si stavano già organizzando i festeggiamenti per l’imminente inaugurazione, per non deludere i donatori, si ricorse ad un trucco che è passato alla storia: si chiamò un pittore e gli si fece dipingere sulla parete di fondo, rimessa a nuovo, una serie di canne d’organo. Il trucco invogliò la popolazione a tassarsi di nuovo per riuscire così ad acquistare l’organo.
Ecco perché il detto Va a bagg a sonà l’òrghen qualche volta viene completato con la frase “Pitturaa in sul mur”.
Purtroppo negli anni la Chiesa Vecchia di Sant’Apollinare – in via Ceriani 3 – è stata completamente ristrutturata e dell’organo dipinto non è rimasto nulla se non nelle narrazioni popolari.
È possibile però leggerne il racconto, in dialetto milanese, sulle sei targhe in ceramica collocate proprio accanto all’antica chiesa. Una di queste recita: “La nòstra gesètta l’è pòvera, me tücc numm, che pòdom minga permèttes nanca on strasc de organin, almen adèss ghe l’avarèmm pitturaa sùl’ mur”.
Tradotto: La nostra chiesetta è povera, come tutti noi, tanto che non possiamo neppure permetterci uno straccio di organetto, almeno adesso l’avremo dipinto sul muro.
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