C’è uno strumento musicale sardo che, a prima vista, sembra più un oggetto da bricolage che un pezzo da orchestra: è “su trimpanu”, un’antichissima invenzione popolare che unisce ingegno e… un tocco di ribellione.
In origine era un semplice cilindro di sugherone — poi rimpiazzato da barattoli di latta recuperati chissà dove — sormontato da una membrana di pelle ben tirata e bloccata con dello spago. Ma il cuore dello strumento è una cordicella sottile, incatramata di pece e trattenuta da due piccoli dischetti di cuoio. Tirando questa corda con le dita inumidite, la pelle vibra e produce un suono profondo, gutturale, simile a un ruggito lontano.
E se all’uomo quel suono può apparire semplicemente curioso, ai cavalli non sta affatto simpatico: lo temono istintivamente. Bastava un colpo di trimpanu ben assestato e i cavalli dei carabinieri impazzivano: s’impennavano, disarcionavano i cavalieri o fuggivano a tutta velocità.
Ecco perché questo strano strumento diventò l’alleato perfetto di banditi e latitanti: nel folclore sardo, il trimpanu è ricordato anche come un’arma sonora nelle mani degli inseguiti. Tanto che, per un periodo, le autorità lo proibirono del tutto.
Oggi, invece, ha riconquistato il suo posto nella cultura tradizionale: su trimpanu risuona durante le sfilate folkloristiche e le feste di carnevale, facendo vibrare le strade con il suo suono antico. Un esemplare originale, sequestrato durante l’epoca del banditismo, è custodito in un piccolo museo nella Legione dei Carabinieri di via Sonnino, a Cagliari — un testimone silenzioso di un passato in cui la musica poteva far tremare anche i cavalli.