In questi giorni concitati, con le borse a picco dopo la decisione di Trump di imporre Dazi anche all’Europa, anche i nostri piccoli produttori locali sono molto preoccupati. Abbiamo chiesto quindi a un esperto di politica internazionale come potrebbero cambiare le alleanze e come dalla globalizzazione alla regionalizzazione del commercio mondiale la Sardegna potrebbe uscire indenne.
Matteo Meloni è un giornalista esperto di Medio Oriente e Nord Africa, Stati Uniti, rapporti tra Paesi Nato, di organizzazioni internazionali. Già Addetto Stampa al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ha lavorato come Digital Communication Adviser alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite a New York. Editor in Chief di SpecialEurasia, è Direttore Responsabile della rivista TocTocSardegna. È membro del Centro Studi Criminalità e Giustizia. Docente di geopolitica per enti e istituzioni pubbliche e private, collabora con associazioni e ONG nello sviluppo del pensiero critico in ambito politica estera e relazioni internazionali. Ha curato dal 2019 al 2023 la rubrica “Notizia del giorno” per eastwest – rivista di geopolitica.
I dazi imposti dall’amministrazione Trump fanno molto discutere, con effetti immediati già visti nel crollo delle borse. Perché questo atteggiamento da parte della Casa Bianca?
La postura politica assunta da Donald Trump obbliga il Presidente repubblicano a proseguire sulla strada del messaggio perentorio, in qualunque ambito, pur di mantenere viva e fedele la sua base elettorale. Questo si trasforma in veri e propri attacchi frontali in economia, in ambito militare, nei rapporti bilaterali. Pensiamo alle minacce sulla NATO, al trattamento meschino riservato pubblicamente a Volodymyr Zelensky, ora alla questione dazi, imposti indiscriminatamente ad alleati e non: il Presidente utilizza il suo linguaggio schietto, dalla semplicità estrema, da uomo della strada, applicandolo anche nella gestione degli Stati Uniti. Non è una buona notizia, ma questo già lo sapevamo: nei primi quattro anni alla Casa Bianca ha minato il funzionamento del sistema multilaterale uscendo dagli Accordi sul Clima di Parigi, dal patto sul nucleare iraniano, dall’Oms. Tuttavia, molti analisti ritengono che le decisioni prese in materia di dazi siano un tentativo per comprendere quanto i Paesi coinvolti siano disposti a trattare pur di mantenere vivo il canale d’interscambio economico con gli USA. L’Europa non può far altro, purtroppo, che scendere a compromessi, dato che l’UE ancora non può definirsi in tutto e per tutto attore geopolitico indipendente a causa delle sue stesse scelte.
La sensazione è sempre quella che l’Europa non riesca a scegliere autonomamente la propria strada. Perché, ad esempio, non si guarda ad Oriente e alle potenzialità di sviluppo dei rapporti con la Cina?
C’è stato un momento estremamente favorevole nel quale UE e Cina stavano per implementare l’accordo chiamato Comprehensive Agreement on Investment, purtroppo non ratificato per una serie di ragioni. La prima, l’addio di Angela Merkel alla politica: fu la Cancelliera a spingere per questo tipo di relazione con Pechino, che avrebbe aperto una prateria di investimenti bilaterali, garantendo norme e regolamenti reciproci da rispettare, a tutto vantaggio di imprese e consumatori. Washington fu estremamente contraria, cercò di boicottare l’accordo in tutti i modi. Prima le accuse al governo cinese sul maltrattamento della minoranza musulmana degli uiguri nella regione dello Xinjiang, poi il presunto appoggio del Partito Comunista Cinese alla Russia che ha invaso l’Ucraina hanno portato ad un vero e proprio stallo. Il punto è: cosa vuol fare da grande l’Europa? Bruxelles è un vaso di ceramica in mezzo a due vasi di ferro, ovvero Stati Uniti e Cina. Il loro scontro la porta in frantumi. Se l’UE non ragionerà realmente in forma unitaria, verrà fagocitata dalle forze economiche esterne e azzoppata sempre più al suo interno dagli egoismi nazionali.
Ci dovremmo aspettare, anche una volta finita la guerra in Ucraina, che la Ue riprenda rapporti commerciali solidi con la Russia?
Sì, assolutamente. È fondamentale riprendere le relazioni economiche con la Russia, estremamente vantaggiose per la nostra manifattura, per l’acquisizione di gas e petrolio a prezzi adeguati, per la sicurezza reciproca. Non si può pensare di escludere una forza economica come la Federazione Russa dal contesto di sviluppo europeo: è necessario trovare un nuovo equilibrio, a prescindere da chi guida il Paese. Non possiamo far finta che vada tutto bene, anzi. Ma se abbiamo rotto le relazioni con il Cremlino, lo stesso si dovrebbe fare con molti dei governi che consideriamo partner e che hanno un record imbarazzante nella gestione dei diritti umani. Ci vorrà del tempo prima che le relazioni Bruxelles-Mosca riprendano regolarmente: l’invasione dell’Ucraina, nazione sovrana, è un colpo al rispetto del diritto internazionale. Ma non ricordo una simile reazione scomposta da parte europea quando gli Stati Uniti, appoggiati dal Regno Unito, invasero illegalmente l’Iraq di Saddam Hussein. Esiste un doppio standard inaccettabile, che ci rende estremamente vulnerabili: per ultimo, il caso del genocidio palestinese da parte israeliana, senza dimenticare gli accordi economici con l’Arabia Saudita e l’Azerbaigian.
Quali sono le mosse più intelligenti che può fare la Ue nelle prossime settimane evitando di peggiorare la situazione con contro dazi indiscriminati che farebbero più male agli europei che agli americani?
In questo preciso momento storico, l’UE non può far altro che scendere a compromessi, trovare la strada del dialogo con l’amministrazione repubblicana, cercare di attutire il colpo. Personalmente, sono per la diversificazione dei rapporti: da tempo l’Europa avrebbe dovuto smarcarsi dal giogo statunitense, puntare ad instaurare relazioni forti con altre realtà, trovare la sua via. Sono stati accettati diktat di carattere politico, economico e militare, con il risultato che ora il rischio è di trovarci repentinamente esposti. Non ho fiducia che questa Commissione Europea abbia la forza di intraprendere un percorso di questo tipo, ma forse il Presidente Trump ha finalmente portato il popolo europeo a comprendere che gli Stati Uniti hanno seguito i propri interessi, non i nostri. È giunta l’ora di cambiare e superare l’attuale status nelle relazioni, che ci vede in chiaro difetto, e diventare protagonisti globali di una nuova stagione.