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Perché parenti e amici (e amiche) dell’uomo violento lo difendono e proteggono? Ecco quale dovrebbe essere la prima risposta alla violenza sulle donne

Non ci sono donne che non abbiano, almeno una volta nella loro vita, vissuto una molestia, un abuso fisico o psicologico, una discriminzazione per il loro genere. Siamo state tutte vittime almeno in un’occasione, perché quello di cui parliamo non è un problema privato, della singola persona che lo subisce, ma collettivo. Investe più generazioni, tutte le classi sociali e tutte le appartenenze religiose e politiche.

Per commentare i fatti terribili di questi ultimi giorni, ci riferiamo ai femminicidi delle due studentesse universitarie, Ilaria e Sara, non possiamo che partire dal nostro vissuto.

Tanto tempo fa chiesi aiuto agli amici e amiche (questo lo sottolineo perché è importante) dell’uomo che mi faceva paura. Uomini e donne. Non avendo gli estremi per una denuncia, (difficile provare certe violenze se non finisci in ospedale, ve lo assicuro) avevo bisogno almeno della protezione sociale. Alcuni, nonostante considerassero i miei timori fondati, nonostante l’uomo in passato (ovviamente lo scoprii solo dopo) aveva avuto già comportamenti violenti con le sue ex, non lo isolarono, non intervennero. Anzi continuarono a coprirlo anche con le fidanzate che vennero dopo di me e subirono le stesse angherie. Persone consapevoli, istruite, addirittura sensibili all’argomento. Persone che partecipavano a manifestazioni per i diritti delle donne e che si battevano per l’emancipazione. A loro discolpa quindi non si po’ chiamare in causa una presunta ignoranza del fenomeno.

Vi racconto questa esperienza terribile e dolorosa perchè purtroppo anche in queste ore continuiamo a mettere in discussione sempre il racconto della vittima e mai quello del carnefice. Nonostante pregressi simili. Si continua a colpevolizzare la donna di tutto. Di non aver denunciato, di aver illuso, di aver provocato, ecc. Su Sara Campanella abbiamo addirittura dovuto leggere in alcuni quotidiani l’aggettivo “ingenua”, “credeva di poterlo tenere a bada da sola”. Cara stampa, di cui io stessa faccio parte, noi donne siamo sole. Per questo in molti casi finiamo ammazzate perché oltre alla complessa tutela giuridica non abbiamo neppure quella del contesto sociale, anche se è tra i più istruiti.

Finché non cambiamo il nostro modo di percepire e quindi condannare la violenza di genere, non ci sarà mai nessuna rivoluzione culturale.

Se vi entrano i ladri in casa la colpa è vostra che vi siete fatti derubare? Perché non vi è chiaro chi sia la vittima quando si tratta di violenza sulle donne?

Chi sta intorno all’uomo violento, soprattutto chi gli vuole bene, non deve coprirlo o assecondarlo ma intervenire anche per il suo stesso bene. Non deve sperare che prima o poi guarisce e cambierà ma realmente assicurarsi che si stia curando o isolarlo al punto da creare un cordone di protezione per la vittima. Invece spesso si continua a fare finta di nulla. Di non vedere, sentire, capire. Come se la violenza sulle donne fosse un problema che devono gestire solo le donne. Quella singola donna che è stata solo sfortunata o “ingenua” a frequentare uno così.

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