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Sadali, mani che con la filatura danno vita alla magia: la storia di Elisa Faa

Di Giulia Massa e Rita Coda Deiana

 

Il nostro progetto “Sul Filo degli Antichi Mestieri” prende inizio da un antico sapere, ossia quello della filatura. E’ un filo immaginario che unisce l’antico con il nuovo e come il filo della tessitura, crea un collegamento che connette il Passato con il Presente e si proietta verso il Futuro.

La filatura, un sapere antico che insegna a ritrovare il giusto tempo per ottenere dei risultati in qualsiasi campo, insegna la lentezza con la quale si può creare e dare vita ad un oggetto unico ed irripetibile. La lentezza nella creazione rimanda alla stessa lentezza con la quale la Natura crea e dà la vita, con la ciclicità degli eventi e con il rinnovarsi delle stagioni e dei tempi.

In questo spazio la materia prima, usata dai nonni-artigiani, plasma anche il carattere di ciascuno e lo rende unico nel suo processo di trasformazione. Nello spazio ritrovato il filo serpeggia tra le idee antiche e quelle nuove e si spinge un poco più in là, fino a toccare i contorni del futuro. Un futuro nel quale la tradizione antica non è semplice appannaggio per turisti, bensì diviene sostanza fondamentale del cambiamento. Nel nostro progetto vi è perciò anche una sfumatura di inclusività, di rapporto intimo ed interiore tra il vecchio e il nuovo, un rapporto di reciproca commistione e mescolanza. Si recupera il legame nonno-bambino, si crea il ponte tra antico mestiere e tempo moderno, si va ad unire e a preservare un antico sapere che altrimenti andrebbe dimenticato e a evidenziarne il ruolo in un’ottica di sviluppo sociale.

L’antico sapere, come simbolo di un crescente bisogno di ritrovare le proprie radici in un mondo che tende a divorare le origini nel nome del progresso economico e tecnologico. I bambini che divengono apprendisti e allo stesso tempo depositari dell’antico mestiere grazie alla presenza dei nonni che fanno loro da guida attraverso i meandri del sapere.

Fin dall’antichità la filatura ha rivestito un ruolo fondamentale nel progresso dell’umanità, e la manualità, con l’avanzare delle arti ha arricchito di dettagli ogni manufatto. La mano in sé, quindi, come simbolo dell’atto rispetto ad una potenza che è prodotta dall’ispirazione del momento o da una profonda riflessione. La mano che plasma partendo dalla materia prima, la mano che crea, la mano che dà forma all’idea. Ed è forse nella sua concretezza che va ricercata la sua funzione. Tuttavia il suo significato profondo non si limita a questo. Se pensiamo alla mano come intermediaria tra uno slancio interiore e la sua attualizzazione, non possiamo tralasciare il suo ruolo nell’ambito dell’affettività umana. Ogni slancio viene realizzato ed esplicitato attraverso un contatto diretto tra mani che si avvicinano e si sfiorano, che comunicano tra loro ancor prima dello sguardo o della parola.

La mano diventa protagonista di uno scambio reale e attraverso il tatto raccoglie informazioni. Si trasforma quindi in un ricettacolo informativo che ci parla interiormente di qualcosa o di qualcuno. Non si parte più dalla potenzialità artistica di un’idea alla sua realizzazione concreta, ma al contrario qui si parte dalla realtà oggettiva di un contatto alla formazione di un senso nuovo tramite il pensiero che raccoglie dati.

Se prima tutto iniziava da un’astrazione, ora si inizia da un fatto. In questo senso la mano assume doppia funzionalità e doppia direzione: dal mondo delle idee alla realtà, e dalla realtà al mondo delle idee. In entrambe le funzioni la manualità si trova nel mezzo. Ciò che contraddistingue la manualità è quindi la capacità di realizzare informazioni astratte e allo stesso tempo generarne di nuove. A monte di tutto dimora lo slancio, che parte sempre dall’interiore. Ambedue le direzioni sono governate da una forma particolare di tensione, che sia tensione alla creazione o tensione alla conoscenza non fa differenza. Il nuovo plasmato e la realtà che diventa un’idea partendo dal dato sensibile.

L’arte della filatura è quasi una forma di narrazione, il resoconto di un viaggio della memoria, di vita comune, quotidiana, di affetti familiari. Un ricordo ( ammentos), frutto del lavoro e del sudore (fruttu de trabagliu e de suore) che rende visibile l’invisibile e rende testimonianza di quanto si cela tra le campagne e i monti della Sardegna, paesi, luoghi cari ed emblemi di valori profondi. E’ un’arte che è concezione di vita, quasi un ritratto di un mondo interiore che oscilla tra presente, passato e ricordo, è un viaggio del sapere… è ricerca della propria autenticità.

Il bandolo della matassa del “Sul Filo degli Antichi Mestieri” inizia a dipanarsi nel paese di Sadali, tra i borghi più belli d’Italia, nel cuore della Barbagia di Seulo, noto per essere il Paese dell’Acqua. In questo scenario antico e primordiale ritroviamo il senso più profondo del nostro progetto, ossia quello di valorizzare l’antico sapere alla luce delle nuove generazioni. Tra le mura del borgo antico incontriamo quella lentezza che anticamente scandiva il tempo degli artigiani, quel modo di vivere il proprio lavoro nelle sue infinite potenzialità con consapevolezza e impegno. Il tutto è accompagnato dal ritmo fluido che scorre nei fiumi e nelle cascate che caratterizzano questo luogo. E’ infatti l’Acqua ad essere vera protagonista.

Il suo significato profondo serpeggia tra i meandri del Tempo, portando con sé antica conoscenza e memoria. L’artigiano ben conosce la forza e la vitalità delle cascate che padroneggiano a Sadali e quella stessa forza la riversa fluida nella creatività del suo lavoro quotidiano. In questo scenario incredibile, dove Natura e Uomo si incontrano, l’antico mestiere diventa la bussola del Presente, lo Specchio nel quale intravedere nuove prospettive per il futuro, nuove strade da percorrere. Nell’Origine delle pietre, che costituiscono la materia prima del borgo antico di Sadali, ritroviamo la stessa tenacia dell’uomo che ha edificato la propria esistenza partendo da elementi essenziali. E noi a quell’essenzialità ci rivolgiamo per portare avanti questo progetto, che intende indagare per conoscere e far conoscere ciò che di immutabile vive tra le vie del paese.

E’ nello scenario quasi mitologico e fantastico di questo meraviglioso paese, con le sue tradizioni e le sue credenze profonde che avviene il gradito incontro con la signora Elisa Faa, con due delle sue figlie: Elena Giuseppina e Maria Gabriela Meloni, con la piacevole presenza della nipote Lorena Loi e i pronipoti Giovanni e Cristian Serrau. Il Sapere che incontra il presente, quattro generazioni che si uniscono, con la speranza di trasmettere dei valori e conoscenze che spesso vanno perdute nel limbo del tempo che passa.

L’incontro con la nuova generazione si fa fondamentale per proiettarsi verso un futuro che è carico di sementi pronte ad attualizzarsi e ad espandersi. Quella stessa semenza ha radici lontane nel Tempo, è antica ma non vecchia, è originaria ma non desueta. La signora Elisa Faa, una donna dai dolci lineamenti, e da un portamento gentile, nasce nel centro storico di Sadali, in località “pratza’ e cresia,” (piazza di chiesa) da madre di Seui e padre di Sadali, madre di sei figli, oggi ha 87 anni.

Fin da quando era bambina ha sempre ammirato i lavori realizzati dalla madre con la macchina da cucire, realizzando pantaloni, camicie e altri capi. Con commozione ricorda che la madre le aveva cucito anche la borsa per la scuola dove teneva i libri e i quaderni (su busciettu). Da bambina quando frequentava la scuola elementare, racconta che durante l’ora di ricreazione socializzava con i compagni giocando con gli antichi giochi di quei tempi: salto con la fune (a sa funi), campana/casella (su biliardu o peincadeddu), con cinque pietre tondeggianti di piccole dimensioni (is biccus). Ritorna a ritroso nel tempo descrivendo ai pronipoti Giovanni e Cristian Serrau, i giochi come il gioco dell’arancia (su giogu ‘e s’arangiu) e il gioco dell’anello (su giogu ‘e s’aneddu) che allietavano le ore di pausa durante il duro lavoro in campagna per la mietitura a mano del grano, in quei giorni estivi in cui si usciva di casa il lunedì per far rientro soltanto il sabato.

Ricorda che quando era bambina nei mesi estivi, amava sedersi con le coetanee e le donne più adulte di lei in cortile o nel vicinato, questo era un modo per socializzare, condividere e imparare quelli che allora erano antichi mestieri. E’ allora che ha iniziato ad appassionarsi oltre al cucito a macchina, eseguito dalla madre, ai lavori con l’uncinetto, lavori a maglia (ferri), ricamo e realizzazione di cestini (is pallineddas) attraverso l’intreccio del fusto del papiro e raffia colorata. La passione l’ha portata a provare in casa anche se le materie prime erano scarse a causa del costo elevato.

La signora Elisa racconta che era prezioso anche un lembo di stoffa, che lei custodiva e lavorava. Per il suo matrimonio ha realizzato lenzuola ricamate, coperte di lana ovina (sa manta) e diversi capi in lana come cappotti, maglioni, calze. La lana era una delle materie prime maggiormente presenti nel territorio. La realizzazione di capi con la lana ovina le è stata tramandata dalla suocera, che lavorava la lana al telaio, e anche dalla madre che filava la lana. La signora Elisa ha spiegato i vari passaggi per la lavorazione della lana prima della filatura. La prima fase consisteva nella tosatura, compito prettamente maschile, avveniva una volta l’anno in primavera inoltrata. Presso i corsi d’acqua, poi si procedeva al lavaggio della lana, competenza prettamente femminile, con saponi naturali a base di grassi animali, tutto eseguito a mano compresa la sgrassatura e la battitura.

L’asciugatura della lana si realizzava all’aperto in pieno sole. Dopo l’asciugatura avveniva la scelta della lana con smistatura o cernita, a seconda del tipo di lavoro che si doveva realizzare. La lana selezionata veniva filata attraverso la fase della cardatura, che consisteva nel districare a mano le ciocche della lana, dividendole, per poi essere pettinate con gli scartassi (utensili con denti di ferro realizzati in legno). La filatura veniva eseguita con “sa cannuga” (bastone di canna palustre) e “su fusu” (il fuso).

Le fibre di lana cardate venivano avvolte sulla “cannuga” e con un movimento rotatorio delle mani, collegavano la fibra al fuso creando un filo continuo, alimentato volta per volta dalle abili mani della tessitrice. I fili più corti venivano utilizzati come trama e realizzazione di manufatti da lavoro, quelli più lunghi come orditi da telaio e per la tessitura dell’orbace. Per concludere venivano realizzate delle matasse con l’utilizzo de “su sciollitrama” (naspa).

Una volta per la colorazione della lana si utilizzavano i pigmenti del colore di piante autoctone dopo un processo di bollitura e filtrazione del liquido ottenuto. Signora Elisa racconta che realizzava con passione gli abitini delle figlie con la macchina da cucire, abbellendoli poi, con il ricamo a punto smock. Mentre la signora Elisa cuciva, era compito delle due figlie, Elena Giuseppina e Maria Gabriela allora bambine, dedicarsi all’imbastitura lenta dei capi da realizzare. L’imbastitura lenta veniva eseguita a mano con filo per imbastire (cotone) e si utilizzava per riprendere i segni del perimetro dell’abito, sul doppio strato di tessuto. Si eseguiva sulla gessatura del perimetro del modello mediante un’ imbastitura a punti lenti, si allargavano i lembi dei due tessuti e si tagliavano, con precisione millimetrica, i punti nel centro in modo che il filo restasse a metà su un lembo e a metà su un altro. Racconta anche che ha confezionato l’abito da sposa della figlia Maria Gabriela, che si è sposata indossando il costume sardo di Sadali, tutto il capo è stato ricamato dalle mani della signora Elisa.

L’amore per le tradizioni e la cultura del territorio, ha portato la signora Maria Gabriela nei tempi addietro alla gestione di una casa museo: “Sa Omu ‘E Zia Cramella” ( La Casa di Zia Carmela) museo dagli ambienti riportanti gli arredi della cultura e tradizione locale, nonchè strumenti della vita contadina ed artigiana del territorio. La signora Maria Gabriela Meloni ha realizzato diverse tovaglie, in collaborazione con la madre, utilizzando il ricamo ad intaglio su lino con filo dorato, tovaglie confezionate per essere poi donate alla chiesa di San Valentino di Sadali. Lei si è occupata del ricamo e la madre, oltre al ricamo anche dei pizzi realizzati all’ uncinetto. La maestria di Maria Gabriela la porta ad utilizzare nel ricamo su cotone il punto erba, punto pieno, punto ombra e punto piatto, anche se la sua vera passione è l’intaglio su lino.

Il grande sogno di signora Maria Gabriela è che la passione per questi antichi mestieri, la porti a continuare a realizzare, anche in futuro, dei lavori che purtroppo la visione del mondo odierno non riesce a valorizzare nel giusto modo. Il suo desiderio è anche il ripristino nelle scuole delle ore di economia domestica, poi applicazioni tecniche, per la realizzazione di lavori che una volta erano antichi mestieri, dove la manualità assumeva un valore di grande prestigio. Di poter tramandare e insegnare il loro sapere, alle nuove generazioni che non hanno avuto la possibilità, come loro grazie alla madre, di acquisire l’arte del cucito e del ricamo. La manualità, sia da un punto di vista artistico che artigianale, intesa come un’estensione dell’ispirazione, un’attualizzazione dell’opera potenziale. La manualità che fin dall’antichità, ha rivestito un ruolo fondamentale nel progresso dell’umanità, e con l’avanzare delle arti ha arricchito di dettagli ogni manufatto.

E’ un sogno che la accomuna alla sorella Elena Giuseppina, anch’essa amante del cucito a macchina, del ricamo, dell’uncinetto e dei lavori realizzati a maglia. L’amore per questo genere artistico, nasce da bambina osservando la madre che cuciva e ricamava. All’età di quindici anni frequenta dei corsi di taglio e cucito, realizzando gonne, pantaloni, giacche, tailleur e diversi capi. All’età di sedici anni, la passione per la tessitura con il telaio, la porta a frequentare un corso, per la realizzazione di tappeti e arazzi in fibra di cotone. Telaio in legno degli anni cinquanta, orizzontale, che ancora oggi utilizza e custodisce come un prezioso scrigno di sapere. Come l’amore della madre ha tramandato a lei e alla sorella questi saperi, allo stesso modo Elena Giuseppina lo ha tramandato alla figlia Lorena Loi, che pur nella sua giovanissima età ha realizzato capi di abbigliamento, con l’uncinetto e lavori a maglia, che riprendono la tradizione, ma con un’ottica proiettata nel futuro, come copricostumi e altri capi moderni.

La passione per questi antichi saperi ha invogliato la signora Elisa a tramandarli alle figlie e alle nipoti. Una passione che ha portato le figlie a realizzare a loro volta dei lavori di grande manualità e di spiccato valore artistico, con la macchina da cucire, con l’uncinetto e col ricamo, pezzi unici e introvabili. Sono le mani delle donne di Sadali, madri, figlie, spose che sono anche l’entità che creano se stesse nella trasformazione dello slancio iniziale, “Mani che danno vita ad una passione” che rappresentano non solo la circolarità dell’atto creativo ma anche il senso di indefinito che in esso si cela. Le “mani delle donne di Sadali,” segnate dal tempo, si autodeterminano, creano e obbediscono ad un impulso interiore, quello dell’intenzione…quello del Sapere. Il loro agire si muove nella sfera dell’infinito e rimanda alla dicotomia tra ciò che vediamo e ciò che è, e quindi al relativismo. Quelle mani raccontano ciò che sono, raccontano se stesse, eppure in quel loro tratto leggero si nasconde il segreto dell’essenza. Ancora una volta sono le mani ad essere protagoniste, con le loro sfaccettature e i loro modi di esprimersi, con i loro significati profondi e i loro slanci. E noi tutti ritroviamo nelle loro instancabili movenze l’essenziale dell’esistere, quel sapore di possibile che si cela tra le pagine del divenire universale.

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