C’è chi dice non c’è trippa per gatti: ecco, io preferisco non c’è pizza per sardi, anzi, per cagliaritani, ad essere precisi. Perché se i romani hanno carbonara e amatriciana, gli emiliani tortellini e gnocco fritto, i siciliani arancini e granita, noi cagliaritani possediamo uno dei piaceri della vita assoluti: le pizzette.

Non ho scritto pizza, badate bene, ma pizzetta: infatti non parliamo della classica preparazione alla napoletana, quella tonda con i cornicioni o bordi, ma di ricette che qui a Cagliari sono nate e di cui andiamo fieri e che, personalmente preferisco nettamente alla pizza di partenopea creazione.

Signore e signori, ecco le regine delle tavole cagliaritane: la pizzetta sfoglia e la pizzetta al taglio. Non esiste cagliaritano che non sia cresciuto addentandole, dalla merenda alle prime luci dell’alba post discoteca, 24 ore su 24, perfette in ogni stagione e occasione.

Pizzette al taglio, ricetta della foodblogger Lisa in cucina

Non conoscono età né rango sociale, possono essere farcite con quello che più aggrada all’affamato, possono declinarsi nelle combinazioni no-glutine no-lattosio, adattandosi a ogni esigenza e, quel che più importa è che sono buonissime e si trovano ovunque. A Cagliari s’intende: perché varcate le porte della città del sole, piano piano, nel percorrere il Campidano, iniziano a farsi più rare. Sorte migliore tocca alle pizzette al taglio che, per fortuna, possiamo reperire in tutta l’Isola.

E se poi non siete ancora convinti della loro originalità, ecco lo schiaffo morale: la pizzetta sfoglia cagliaritana è entrata di diritto nel novero delle ricette tradizionali certificata dal registro PAT (Prodotti agroalimentari tradizionali), che ha inserito il celebre prodotto da forno nato nel capoluogo sardo tra i prodotti di questa categoria.

Nell’attesa che lo stesso destino tocchi alle sorelle al taglio, vi chiediamo: voi da che parte state? Pizzette a “sa casteddaia” o pizza tonda classica? Occhio a come risponderete, ne andrà della vostra credibilità da cagliaritani doc!

Oggi, 23 aprile si celebra San Giorgio, il “Megalomartire” che secondo la leggenda e la tradizione fu capace di sconfiggere il drago.

La vera origine della bandiera della Sardegna, i quattro mori divisi da una croce rossa su sfondo bianco è fortemente legata proprio al Santo.

Il campo bianco diviso dalla croce rossa è infatti per tradizione il simbolo di San Giorgio.

L’origine del vessillo dei quattro mori, simbolo della Sardegna, è legato alle vicende belliche della Corona di Aragona, che dominò la Sardegna dal 1324 al 1479 (poi dall’unione con il regno di Castiglia nacque la Corona di Spagna). La tradizione vede le quattro teste del vessillo come le teste dei quattro capi saraceni sconfitti e uccisi da re Pietro I d’Aragona nel 1096 ad Alcoraz, dove l’esercito aragonese avrebbe ottenuto la vittoria unicamente grazie all’intervento di San Giorgio che apparve sul campo di battaglia nelle vesti di un cavaliere bianco con una croce rossa sul petto.

Vessillo aragonese.

Il vessillo sarebbe quindi la celebrazione di quella vittoria. Nel tempo gli Aragonesi rimasero fedeli a San Giorgio. Poi alla fine del Quattrocento gli Aragonesi-Catalani concessero il simbolo dei quattro mori ai Sardi e conservarono i 4 pali rossi in campo giallo come proprio vessillo.

Nel 1718, dopo una piccolissima parentesi asburgica, la Sardegna passò al ducato di Savoia ma mantenne come simbolo la bandiera dei quattro mori. Nel tempo il simbolo è stato più volte interpretato: prima i mori avevano la barba e la corona, poi hanno messo la benda sugli occhi, benda sulla fronte, croce di San Giorgio più grossa, più fine, orecchino nel lobo sì, orecchino no, teste dei mori rivolte a sinistra, teste dei mori rivolte a destra. Interpretazioni, appunto, spesso legate alla connotazione politica dei rappresentanti politici.

Il vessillo da parte dei sardi è quindi un segno di sottomissione alla corona d’Aragona, fatto comunque proprio nel corso del tempo. I Sardi, infatti, sono restii a cambiare questo simbolo che, nonostante qualche piccolo cambiamento, viene mostrato, almeno in certe parti dell’Isola, con grande orgoglio.

Riva con i quattro mori sul petto.

C’è però anche chi, coerentemente con le proprie origini, per non accettare simboli di dominazione, avrebbe scelto un altro vessillo: il desdichado, l’albero sradicato simbolo del giudicato d’Arborea, ultimo regno autonomo sardo a resistere alla protervia degli Aragonesi prima e degli Spagnoli poi.

L’albero sradicato simbolo del Giudicato d’Arborea nella chiesa di San Serafino a Ghilarza.