Sardi nel mondo. La storia di Arianna Lai, esperta di comunicazione, da Sarroch a Siviglia
Cosa spinge i giovani sardi a lasciare la propria terra? Oggi ne parliamo con Arianna Lai, 31enne originaria di Sarroch ma che da anni vive e lavora in Spagna nel settore della comunicazione
Articolo di Matilde Bella
Cosa spinge i giovani ad andarsene dalla propria terra, alla ricerca di un percorso a tratti più difficile ma che, paradossalmente, sembra l’unico possibile per la realizzazione dei propri obiettivi e per la propria crescita personale? Quale rapporto controverso anima i loro sentimenti verso le proprie origini? Ma, soprattutto, quali scenari hanno fatto sì che si concretizzassero la partenza, il trasferimento verso nuove regioni e nazioni?
Oggi ne parliamo con Arianna Lai, 31enne originaria di Sarroch ma che da anni vive e lavora in Spagna.
Strategist, consulente e formatrice specializzata in branding, content marketing ed esperta in progetti editoriali. Quale percorso hai intrapreso per arrivare ad avere tutte queste abilità? Quando e come hai capito che quella della comunicazione sarebbe stata la tua strada?
La mia strada la cerco ogni giorno, non mi sento “risolta”. Sono una persona prettamente istintiva, quello che faccio è ascoltarmi e cercare di procurarmi quotidianamente gli strumenti di cui ho bisogno per crescere. Ad esempio, al momento sto combinando docenza e studio: mentre insegno marketing nel centro universitario sivigliano Eusa, frequento un master dell’Università di Barcellona in Coaching e intelligenza emotiva. Tutto quello che ho ottenuto e imparato lo devo a questo modo di operare: curiosità, varietà, introspezione, formazione costante e messa in pratica in tempi svelti. Sicuramente la laurea in Lingue e Comunicazione e poi quella in Filosofia e Teorie della Comunicazione mi hanno aperto la mente e consentito di vedere le cose da una nuova prospettiva, ma è l’esperienza sul campo – e lo studio da autodidatta che è venuto dopo – ad avermi consentito di realizzarmi professionalmente.
Poi, in linea di massima, quando voglio imparare davvero qualcosa, sperimento prima su di me e mi regalo da sola l’opportunità, non attendo arrivi dal mondo esterno ciò che mi serve per salire sul gradino successivo. È ai progetti a cui ho dato vita negli ultimi anni – come marcapersonale.com o Kore – che devo gran parte del mio bagaglio di hard skills.
A proposito di progetti, quali hai all’attivo e quali stanno per vedere la luce?
Attualmente sono molto concentrata sulla mia parte da autrice, già che per un bel po’ ha predominato quella da marketer (oscillo spesso tra queste due). All’attivo ho un audiolibro di cui sto pubblicando un capitolo al giorno su Spotify e Apple podcast, dal titolo. “Troppo facile chiamarlo destino”. L’ho scritto l’estate scorsa dopo aver ricevuto una proposta da una grossa casa editrice, che poi però è sfumata. Dopo qualche mese di sconforto ho deciso di proseguire come ho sempre fatto, ovvero usando gli strumenti che ho già a disposizione senza aspettare che sia il cielo a regalarmi la chance che desidero. Ho tirato fuori dal cassetto il microfono e il manoscritto, e iniziato a leggere a voce alta. Da due settimane l’audiolibro è primo nella classifica libri di Apple Podcast e io non potrei essere più felice. In futuro credo continuerò per questa strada: scrivere, leggere a voce alta e condividere con i miei lettori/ascoltatori, almeno fintanto che non appare all’orizzonte una realtà editoriale seria disposta ad investire su quello che produco.
Lasciare la tua terra d’origine ti ha aiutata nel raggiungimento degli obiettivi? Come, invece, avresti potuto sfruttare le risorse della Sardegna nel tuo campo?
Se non avessi lasciato la Sardegna non avrei mai scoperto me stessa. È difficile spiegare quanto ho appena affermato senza aprire un lungo e travagliato capitolo sull’identità. Posso dire che ho sempre desiderato andare a scoprire il mondo, vedere cosa c’era oltre il mare. Amo la mia terra, ma essere circondata dall’acqua mi ha spesso e volentieri fatto sentire in gabbia. Per quanto riguarda le risorse che mi ha offerto, credo di aver preso tutto quello che potevo. Ma, se devo essere sincera, per quanto so che sto per dire qualcosa di impopolare e che da alcuni verrà inevitabilmente decodificato come ingratitudine, non mi sono mai sentita valorizzata, o nel posto giusto per crescere. Tutt’altro.
In che modo la nostra regione potrebbe supportare i giovani che hanno intenzione di intraprendere una tipologia di carriera simile alla tua? Cosa manca e cosa potrebbe essere fatto?
Mancano termini di paragone. Nell’ambito della comunicazione in Sardegna ci si confronta spesso e volentieri solo con i propri competitor diretti nell’isola. Non si guarda oltre. Cosa potrebbe fare la regione? Su due piedi direi incentivare più che può realtà come “master and back”. Mettere le ali a chi vuole volare altrove, ma poi sforzarsi di rendere il ritorno a casa una reale ricompensa, una prospettiva allettante.
Che rapporto hai oggi con le tue origini? Pensi di tornare, in futuro, o credi che ormai la tua vita sia legata alla Spagna?
Anni fa, nel mio vecchio appartamento madrileno di 37 metri quadri, ho scritto un post proprio su questo. Nel 2020 ho comprato casa a Siviglia, città che ho amato follemente fin dal primo giorno di Erasmus e nella quale vivo, ma tra quelle righe – fatta eccezione per la prosa, pretenziosa e un pelo stucchevole – mi ci ritrovo ancora. Sono sarda. Vengo da una terra di antiche leggende, mirto, salsedine, orgoglio, launeddas, acqua cristallina, superstizioni ancestrali e contraddizioni profonde. Fin dall’infanzia ho conosciuto la medicina alternativa, fatta di curatrici che spolveravano via il fuoco di Sant’Antonio con una carezza e di chicchi di riso sospesi nell’acqua macchiata dall’olio.
“Non capisco quale possa essere la connessione tra il malocchio e la Madonna. Me lo spieghi?”
“Quando si fa la medicina dell’occhio si prega, a Gesù, alla Madonna, al Padre Nostro. Si prega per liberarci dall’invidia.”
“E mi insegni come si fa?”
“Non posso.”
Mi insinuavo senza paura nella sagrestie più cupe, toccavo le statue, raccoglievo bacche, recitavo preghiere di cui non intuivo il senso, esploravo le origini dei miti con una curiosità insaziabile, scavavo nell’ottusità dei vecchi alla ricerca di una radice arcana comune. Parlavo con tutti, persino con le piante del mio giardino. Inventavo segreti che potessi capire. Cosa mi leghi così tanto a un tozzo di terra che galleggia sul mare non è dato sapersi. Io in Sardegna non ho mai sperimentato la pienezza. Eppure mi basta chiudere gli occhi, volare lì col pensiero e subito sento le lacrime.⠀
Mi affaccio al balcone, in una città che non sa che esisto, e mi guardo intorno. Seduta qui, tra la lavatrice e l’edera secca, respiro la solenne ingiustizia di essere legata a doppio filo a una patria ancorata al passato, trascinata in avanti da pochi pionieri spesso beffati dalla stessa collettività che si portano in groppa. Scalpito all’idea di non riuscire a ripulire quell’amore viscerale che nutro per lei dal più vile dei rancori. Perché hai lasciato che me ne andassi? Perché non mi hai dato quello che cercavo? Perché mi hai fatto sentire sbagliata, costretta, asfissiata e poi mi hai lusingato a ogni ritorno con il tuo maestrale che profuma di lentisco e nostalgia?
Farai pace, un giorno, con la Sardegna?
Un giorno farò pace con la terra che mi ha dato i natali. Nel frattempo posso dirti una cosa, a te che mi leggi: non vorrei essere nata in nessun altro luogo. Senza i conflitti che ho maturato percorrendo i sentieri contorti e selvatici della mia isola so che avrei corso più veloce, in questa vita. Ma non avrei mai e poi mai potuto sentirmi Figlia.⠀ Perché io, prima di essere italiana, sarda, cittadina, sono figlia. Figlia di una madre che mi respinge, ma dalla quale so di poter tornare. Per sempre.
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