Lo sapevate? Nel 1984 a San Gavino è stato ritrovato un bassorilievo con il vero volto di Eleonora d’Arborea
Lo studioso Francesco Cesare Casula individuò l’immagine autentica di Eleonora d'Arborea nel 1984 quando la ritrovò effigiata nei peducci pensili della volta a crociera dell’abside della chiesa di San Gavino Martire a San Gavino. Fu decisiva una particolarità del volto della giudicessa.
Lo sapevate? Nel 1984 a San Gavino è stato ritrovato un bassorilievo con il vero volto di Eleonora d’Arborea.
Lo studioso Francesco Cesare Casula individuò l’immagine autentica di Eleonora d’Arborea nel 1984 quando la ritrovò effigiata nei peducci pensili della volta a crociera dell’abside della chiesa di San Gavino Martire a San Gavino. Fu decisiva una particolarità del volto della giudicessa.
Come abbiamo fatto notare in un altro articolo l’immagine di Eleonora d’Arborea, che solitamente vediamo riprodotta non solo nelle copertine dei libri ma anche sulle confezioni dei prodotti alimentari, è falsa: rappresenta Giovanna La Pazza – figlia di Ferdinando II d’Aragona e di Isabella di Castiglia e non la regina-giudicessa, passata alla storia per la straordinaria Carta de Logu che sarà vigente in Sardegna per più di 400 anni.
Nella parte sinistra del volto di Eleonora si trova una vasta cicatrice. Nel 2010, a Mogoro, durante i lavori di restauro di una casa privata (antica casa Atzori-Melis) è stato ritrovato un busto in altorilievo in un arco. Anche questo sembra un ritratto di Eleonora, anche in questo infatti è presente una vasta cicatrice nella parte sinistra del volto.
La Chiesa di San Gavino Martire costruita nel 1347, come riporta San Gavino Monumenti, è definita il pantheon degli Arborea ed è giunta a noi purtroppo pesantemente modificata rispetto alle originarie strutture gotiche. L’antica chiesa, consacrata nel 1387, è l’unico edificio religioso che presenta le effigi ritraenti i regnanti del giudicato d’Arborea, oltre a quello citato di Eleonora, anche quello del padre, del fratello e del marito.
Nella chiesa l’unica parte della struttura trecentesca ad essersi salvata è l’abside, in pietra calcarea e vulcanica, a pianta quadrata e con una finestra archiacuta, in origine una bifora.
Nella parete destra del presbiterio si trova un concio che reca incisa la data 1347, mentre dall’altra parte si trova dipinta la data 1388, in un’iscrizione tracciata su un sottile strato di intonaco. Si può individuare fra le due date il lasso di tempo in cui è stata edificata al chiesa.
Le volte a crociera costolonate dell’abside sono rette da quattro mensole scolpite con figure antropomorfe, dei busti nei quali sono stati identificati Eleonora, insieme al busto del padre Mariano IV, del fratello Ugone III de Bas-Serra e del marito Brancaleone Doria.
La giudicessa-regina non era dunque bella come l’immaginario collettivo aveva standardizzato, inoltre aveva il volto sfigurato da una vasta cicatrice, che sempre lo storico Cesare Casula, suppone sia il risultato uno schizzo di olio bollente, da cui sarebbe stata colpita la giudicessa da bambina. Un incidente avvenuto all’età di sei anni nelle cucine del Castello di Burgos, una delle residenze della corte giudicale. Anche se gli studiosi propendono per l’incidente, la questione della cicatrice di Eleonora è stata affrontata anche su un piano clinico, portando alla luce nuove ipotesi. Come riporta Meandsardinia, il chirurgo Paolo Santoni Rugiu, fondatore della scuola pisana di Chirurgia Plastica ed esperto di lesioni, avanza la diagnosi secondo cui la giudicessa fosse afflitta da un angioma misto o tumore benigno della cute.
Non sembra essere dello stesso avviso del professor Casula la studiosa e saggista Bianca Pitzorno, che nel suo libro “Vita di Eleonora d’Arborea” sostiene che non sia possibile riferire con assoluta certezza il segno ovale del busto di San Gavino e l’avvallamento del busto di Mogoro ad una scelta voluta dai lapicidi.
Recentemente era stata avanzata anche l’ipotesi di una terza immagine di Eleonora d’Arborea a Ghilarza nella chiesa di San Serafino: si tratta di un altro bassorilievo, un volto collocato al di sopra dell’albero deradicato, molto probabilmente si tratterebbe anche in questo caso del viso sfregiato della famosa giudicessa.
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