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Le donne che ci piacciono. La fotografa Sara Montalbano: “Elegante è la semplicità”

Sara Montalbano è nata a Cagliari nel 1993, ha iniziato la sua carriera specializzandosi in ritrattistica e fotografia di moda. Nel 2012 ha trascorso un anno lavorativo a Oxford in uno studio fotografico prima di partire a Jakarta, in Indonesia, dove ha investito due mesi lavorativi in una casa di moda per le migliori riviste del gruppo Femina e lavorato alla settimana della moda di Jakarta come fotografa ufficiale.

Nel tempo, si è resa conto che scattare immagini la aiutava a creare una mappa visiva personale del paesaggio dell’anima umana. Nel 2018 si è trasferita a Londra, dove ha sviluppato un suo stile ascoltando la sua creatività e le sue emozioni. Nel 2019 ha vissuto 3 mesi in Asia: India, Vietnam, Thailandia e Birmania, per progetti personali di ritrattistica e di fotografia di viaggio.

Ora è tornata a Cagliari, pronta ad aiutare le piccole e medie imprese ad espandersi nel mondo online anche a livello internazionale attraverso la fotografia.

Conosciamola meglio.

Quando e come è nata la tua passione per la fotografia? Ricordi quale è stata la prima foto che hai scattato?


Ho una foto di una mini-me di 3 anni che tiene in mano una macchina fotografica giocattolo. Ricordo che prima dei 9 anni la  mia attenzione era rivolta esclusivamente ad immagini di animali e natura. Con l’arrivo dei primi telefoni con la fotocamera e la pazienza dei miei amici-parenti-conoscenti e di chiunque fosse in possesso di uno di quei telefoni – iniziai a trascorrere ore con un nuovo passatempo che amavo tantissimo: fare foto al mondo circostante.

Galeotta fu la macchina fotografica che mia cugina Daniela mi fece provare un giorno d’agosto dei miei 14 anni. Iniziai a fotografare i suoi occhi e i miei parenti che chiacchieravano tra loro. Comprai la mia prima macchina fotografica un anno dopo, con i risparmi conservati negli anni grazie ai regali in denaro ricevuti ai compleanni. Fu emozionante, come l’inizio di una storia d’amore a lieto fine.

Quali sono state le tue principali tappe professionali, quali i momenti di svolta, di studio e di approfondimento?

La fotografia mi accompagna da 11 anni e ricordo ancora con grande piacere il giorno in cui decisi di fare un biglietto per l’Inghilterra, il 12 luglio 2012, stesso giorno in cui mi diplomai. Scelsi l’Inghilterra perché imparare l’inglese mi serviva per poter studiare fotografia dai libri internazionali. Le prime due settimane furono difficilissime, non ero in grado di capire un semplice “come stai” per via della pronuncia del paesino che scelsi come meta: Oxford. La tessera per la biblioteca fu la prima cosa da fare. Fu proprio lì che scoprii per la prima volta la passione per la ritrattistica. Passarono ore, giorni e settimane e il mio inglese migliorò tantissimo.

Dopo qualche mese partii in Indonesia per lavorare come fotografa all’interno di una casa di moda e per le vie della città di Jakarta trovai un mondo fatto di emozioni mai provate prima. Avete presente la sensazione di pienezza che sentite dopo aver fatto un bel respiro profondo? Ecco, quell’ossigeno è oro e in tutti questi anni ho capito che il mio Ikigai è il viaggio, affrontato con coraggio e accompagnato dalla fotografia. Con gli anni ho compreso che la fotografia di ritratto è divenuta il mio strumento di comprensione dell’anima e della bellezza interiore e che la fotografia di viaggio mi accompagnerà per tutta la vita e mi regalerà esperienze meravigliose.

Cosa ami fotografare?

Sono una persona che vive di emozioni e le trasforma in energia. Amo fotografare tutto ciò che riesce a far vibrare le corde della mia sensibilità.

Lavori ancora con la pellicola?

La fotografia analogica ha per me un valore emotivo molto alto. Mio nonno realizzava ingrandimenti fotografici per famiglie e mio padre sviluppava a casa sua i rullini della Olympus che è ancora in funzione e al momento è tra le mie mani. La pellicola sta alla fotografia come il vinile sta alla musica.

Cosa caratterizza il tuo stile?

Il mio stile è caratterizzato da toni caldi e vintage, alternato da scatti in bianco e nero contrastati. Vivo dentro un film di Woody Allen.

L’arte dicono sia un processo di dialogo sociale. È così per te? Cosa rappresenta per te la fotografia?

Fotografare significa letteralmente “scrivere con la luce” e scrivere, a sua volta, significa tracciare su carta segni o parole. In entrambi i casi si tratta di iniziare un dialogo, (prima con se stessi e poi con osservatori / spettatori). La Fotografia è prima di tutto osservazione, introspezione e successivamente dialogo.

Con quale approccio fotografi le donne? Cosa cerchi di valorizzare in loro?

Le donne sono più belle quando riescono ad essere sé stesse. La bellezza interiore è molto più importante di quella esteriore ed è su questo che io lavoro. Il mio obiettivo è quello di realizzare un’immagine fedele della persona, enfatizzando i suoi lati migliori ed empatizzando con le sue emozioni. Molte ragazze mi ringraziano per averle messe a proprio agio e dirette nelle pose e soprattutto mi ringraziano per aver realizzato un ritratto sincero e reale della loro persona e questo mi rende felice e orgogliosa del mio lavoro.

Quali sono o sono stati i tuoi fotografi di riferimento? 

Il mio fotografo preferito è sempre stato Peter Lindbergh per via del suo bianco e nero e della rappresentazione nuda e cruda della donna, enfatizzando le imperfezioni e rendendole il valore più bello ed importante. Donne forti, arricchite da una pelle imperfetta, un corpo carnoso, i capelli disordinati e il trucco sbavato. Una rappresentazione selvaggia della divinità femminile senza eguali. Peter è venuto a mancare lo scorso anno ma resterà per sempre un’impronta fondamentale nella fotografia di moda.

Cosa vuol dire per te essere femministi?

Essere femministi significa abbattere i pregiudizi sociali di disuguaglianza tra uomo e donna partendo dalla ri-educazione personale sul tema e dall’abbattimento della convinzione che esistano ruoli prestabiliti e dislivelli economici, sia nel campo lavorativo che in quello personale e che esista esclusivamente parità e non superiorità.

 

Le disparità di genere si rilevano tantissimo anche in ambito lavorativo. Ti sei mai sentita, nella professione, messa da parte o presa meno sul serio in quanto donna?

 

Quando venivo convocata agli stage della nazionale italiana di tennistavolo, gli allenamenti erano durissimi e per 15 giorni al mese mettevamo alla prova la nostra forza di resistenza. La determinazione ad andare avanti ha fatto si che io crescessi forte e dimostrassi in ambito lavorativo odierno la parità tra i miei colleghi e me, a partire dalla capacità di tenere in mano kg di attrezzatura fotografica e quindi realizzare il lavoro serenamente.

In passato ho lavorato con clienti che non pensavano minimamente che fossi in grado di tenere per più di 10 minuti uno strumento pesante e filmare fino alla fine il lavoro richiesto. La disparità è forte anche in queste piccole grandi convinzioni mentali.