Site icon cagliari.vistanet.it

Leggende popolari. “Frastimos” e “majas”: quell’affascinante mondo dell’occulto. Quando in Sardegna la magia faceva paura

C’è da sempre un aspetto della cultura sarda che ancora affascina tanti. La magia e l’occulto sono certamente una branca che, nonostante la modernità dei tempi in cui viviamo, conserva ancora una forte carica di coinvolgimento popolare. Diverse espressioni e figure rimangono sempre, tuttora, vivaci e interessanti, in buona parte ben noti alle persone.

Certo, l’antico ruolo di preminenza del magico oggi non c’è più, ma “resiste” ancora qualche mamma che, ad esempio, forte degli intramontabili consigli della nonna, dopo aver saltato il bambino sdraiato per terra, ripete il gesto per scongiurare la possibile mancata crescita del piccolo. E ancora, alcuni di noi, cresciuti con gli ancestrali insegnamenti dei nostri avi, forse evitano ancora di guardare lo specchio nottetempo, onde evitare di vedere il demonio, o ricorrono a gesti scaramantici, anche poco eleganti, quando si parla di malattie o fatti estremamente gravi.

“Su frastimu”, ovvero il cattivo augurio rivolto a qualcuno, anche nel terzo millennio rimane comunque sempre vivo nelle pratiche popolari. “Pigai de ogu” sono espressioni certamente non tramontate in Sardegna, benché, come detto, la modernità dei tempi. E nel malaugurato caso in cui ci si imbatta con esse, si ricorre allora ai più svariati gesti scaramantici o alle eterne “meixinas antigas”. Formule religiose, tramandate di generazione in generazione, accompagnate sempre dalla invocazione a Gesù Cristo o a Dio, rimaste ancora praticate da qualcuno, soprattutto in alcune zone della Sardegna, per questo o quel problema di salute. Funzionano? C’è chi giurerebbe proprio di sì, “ma bisogna crederci”.

Sebbene spesso confusa con il semplice “frastimu”, ancora oggi ci è rimasta vivamente conservata dalla tradizione l’espressione della “maja”, con la quale si identifica il sortilegio. La magia nera, infatti, necessitava, per sortire il suo effetto, di oggetti o parti del corpo di un animale attraverso cui lanciare il maleficio. Senza dimenticare, poi, l’ampio uso di spilloni, usati per la paurosa pratica di trafiggere il “corpo” della persona in questione.

Ad accompagnare questa pratica, inoltre, erano formule e preghiere, mirate a infliggere alla vittima dolori incessanti e incurabili. La “maja” più diffusa era “sa pipia de tzàpulu”, un fantoccio di stracci che rappresentava la persona sulla quale operare il maleficio. Attraverso trafitture di spilli o amputazioni di arti si operava così la lunga “tortura” a distanza della vittima.

Nella pratica della magia nera in salsa sarda, di estremo rilievo erano i pezzetti di indumenti o le ciocche di capelli. Su di essi, infatti, erano “is cogas” a operare occultamento, nel preparare filtri d’amore o nei riti di magia rossa: imbottigliare l’amore e la passione erano così una facile questione.

 

 

Exit mobile version