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Claudia Aru, il Pride e l’omaggio alla Carrà: i diritti si rivendicano con la forza del sorriso

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Non ne ha mai saltato uno: ecco perché per la cantante sarda è così importante esserci e metterci la faccia. Quest’anno poi c’è una ragione in più, ricordare Raffaella Carrà, paladina della guerra contro le discriminazioni e i pregiudizi da molto prima che il Pride fosse anche solo immaginato

«Ho scelto di portare il “Tuca Tuca” per diverse ragioni: perché il brano che sento più vicino per ragioni stilistiche, darò una mia lettura, un gioco di interpretazione anche attoriale». Spiega la cantante villacidrese Claudia Aru, che si esibirà in occasione del Pride, proprio con questo brando dell’amatissima Raffaella Carrà.

«E soprattutto per una questione ideologica: quando uscì questo brano fu uno scandalo, sdoganava il fatto di parlare di sessualità in maniera allegra. Ma questo aveva urtato il perbenismo che caratterizzava l’Italia di quel periodo. Fu un atto di coraggio, dalla portata concettuale, storica e sociologica enorme. Presentando questo brano poi sfoggiò l’ombelico, audacemente, la prima volta in assoluto che in Tv si mostrava una parte del corpo che fino ad allora era stata tenuta ben coperta. È stata capace di mettere in atto una rivoluzione, ma con grande stile, senza volgarità».

Claudia si esibirà con la Trans La Trave nell’Okkio, la Drag Queen che spesso l’accompagna nelle sue esibizioni. La Aru non ha mai saltato un’edizione del Pride, di cui nel 2014 è stata anche madrina ad Alghero.

«Non sono mai mancata a un Pride, ho fatto sempre il possibile per essere presente perché ci credo profondamente. Il Pride secondo me è prima di tutto una manifestazione politica. Non è certo quella che chi non condivide, chiama “Una Carnevalata”, una parola che detesto, si tratta in realtà di una manifestazione serissima in cui si rivendicano i diritti, ma espressa in modo colorato, allegro e pacifico. Si chiede una società accogliente, in cui tutti valgono allo stesso modo e nessuno venga discriminato».

«La speranza è proprio quella di arrivare un giorno a fare in modo che il Pride non serva più. Ma fino a quando le persone dovranno vivere discriminazioni, essere esclusi dalle loro famiglie, subire attacchi, non poter esprimere liberamente i propri gusti sessuali, è evidente che il Pride è necessario. Serve andarci, serve metterci la faccia. E io lo faccio anche perché visto il mio lavoro e vista la mia visibilità, sento la responsabilità di amplificare questo messaggio».

«So di avere tra le persone che mi sostengono con grande affetto, tanti rappresentanti della comunità Lgbt, per questo lo vivo come un dovere. So anche che prendere posizione in modo così netto potrebbe danneggiarmi, ma non importa, preferisco rischiare e dire apertamente quello che sento. Posso usare un microfono che rappresenta allo stesso tempo una grande responsabilità e una grande opportunità di dire quello che penso e magari contribuire a cambiare quello che non mi piace. Ovviamente lo dico con umiltà, ma per quello che posso, per dove posso, arrivare nei miei concerti cerco sempre di lanciare questo messaggio, e lo faccio col sorriso».

 

 

 

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