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Sardegna senza teatri, la pandemia colpisce la cultura. Cagliari, crisi nera per i piccoli: «Avanti grazie alle offerte spontanee»

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In Sardegna il teatro non produce più. La pandemia ha fatto calare prepotentemente il sipario, ormai da mesi, sui tanti spettacoli e rappresentazioni isolane. E il Covid-19 rischia di fare altre, troppe, vittime anche fra gli operatori dello spettacolo, uccidendo così la cultura. A Cagliari la voce dei teatranti che resistono sempre meno alla crisi in cui si trova tutto il comparto e non coivolge solo loro, ma anche operatori, tecnici e l’indotto ruotante attorno al comparto. Tutti, dal primo all’ultimo, vivono con la paura di vedere morire il proprio posto di lavoro. Un’emergenza che soprattutto ha enormemente allargato la forbice fra chi, colpito e tramortito, ancora resiste, e chi invece sta andando inesorabilmente ko. C’è chi casca in piedi, è vero. Ma anche i più forti hanno energie limitate.

Teatri in crisi a Cagliari, chi resiste con difficoltà: “Ci manca il pubblico”

La crisi da pandemia colpisce tutti, anche se c’è chi, fra tante difficoltà, riesce a incassare i colpi. Dallo storico Massimo di Cagliari, il direttore generale di Sardegna Teatro – Tric Massimo Mancini spiega la situazione dalle parti di viale Trento. «Noi siamo comunque un soggetto che produce spettacoli e siamo in preparazione. L’attività è in essere, ma ci manca il pubblico. Il teatro è questo: un incontro, un’interazione». Si cerca allora di “arrangiarsi” con il digitale, anche se non è certo la stessa cosa. I laboratori vanno avanti, vero, ma tutti devono essere sottoposti a tampone, e i costi ricadono sull’azienda. «I teatranti vivono la crisi materiale, di sicuro, ma anche tutto l’indotto. Certamente ci sono stati gli aiuti. Ma la maggiore difficoltà è l’impossibilità a programmare il futuro».

Dalla difficoltà dei grandi alla crisi dei piccoli teatri sardi, quando diventa difficile anche pagare l’affitto

Crisi del teatro sardo ancora più dura per le piccole realtà, alle prese con mille problemi quotidiani, ora ingigantiti dal lockdown pandemico. Romano Usai, dalla Capitale al capolugo, una vita dedicata all’arte, lo sa bene. All’Adriano di Cagliari il sipario è calato da ottobre, nonostante le tante precauzioni anticontagio prese, ma ora si vive nel limbo. «Eppure le spese sono tante, anche dopo la chiusura. A cominciare dall’affitto. Ora si va avanti grazie ad alcuni crediti che abbiamo, da diversi spettacoli fatti, ma poi?». I ristori, dalle parti di via Sassari, sono pochini e costi di gestione sono sempre più difficili da gestire: «I controlli devono essere più stringenti».

La difficoltà dei teatranti, quel vuoto lasciato fra i pubblico

Una chiusura generale, quella dei teatri sardi, che sembra non vedere luce in fondo al tunnel. C’è chi, allora, tra attori e operatori dello spettacolo, continua il suo lavoro di formazione personale, tra letture e scritture. Insomma, usando il tempo di questa “pausa” forzata nel modo più produttivo possibile. «Ci preoccupa una cosa: chi ristorerà il pubblico e gli spettatori? – si chiede Andrea Ibba Monni del Teatro Ferai – Il nostro mondo serve anche a beneficiare le persone di un momento di distrazione dai mali della realtà. E ora chi riempirà questo vuoto?». Piccola realtà cagliaritana dello spettacolo, nella via Dolcetta, che affronta la crisi della chiusura. «Andiamo avanti grazie alle offerte spontanee della gente, che ci aiutano a pagare l’affitto di questo spazio. Ma le utenze da pagare, dietro questa passione sono tante. Il nostro è un lavoro».

Zona bianca, miraggio per qualcuno, paura per altri. La proposta: “Con gli accorgimenti, perché non riaprire anche in gialla?”

Teatri aperti solo in zona bianca, insieme a piscine, palestre e altre realtà oggi off-limits. Meno di 50 casi per 100mila abitanti, con un Rt sotto l’1: in quasi tutta l’Italia ancora un sogno. Ma per qualcuno, un eventuale scenario di questo tipo, sarebbe un incubo. «Se ci dicessero che possiamo riaprire? Mi auguro di no, non ce la faremmo e sarebbe un disastro» commenta Usai dall’Adriano. «In questo lavoro bisogna organizzare e pianificare per tempo». Ultima considerazione che trova d’accordo anche Mancini del Massimo. In via de Magistris si punta alla primavera per tornare ad alzare il sipario, ma dal direttore generale arriva la proposta: «Anche la zona gialla potrebbe permettere la riapertura dei teatri, secondo me. Magari in certi orari e contingentando gli ingressi, e con tutte le precauzioni. Gli spettatori sentono la mancanza e credo che siano disposti a collaborare».

 

 

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