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Sardi nel mondo. Da Lanusei all’America con il desiderio di diventare ricercatrice: la storia di Cinzia Boi

Cinzia Boi, 23 anni, di Lanusei, partì per la prima volta in America, precisamente in Carolina del Nord, nel 2014, con il progetto Intercultura. Dopo questa esperienza, più che positiva, ha deciso, dopo il diploma, di ripartire alla volta degli States per frequentare l’università. Adesso, a distanza di quasi 5 anni dalla sua partenza, ha conseguito una laurea in Psicologia e frequenta un Master in Psicologia Clinica alla Towson University a Baltimora, In Maryland.

Conosciamola meglio.

 

 

Quando hai preso la decisione di partire? E perché la tua scelta è caduta proprio sull’America?

L’idea di partire in America è nata quando mio fratello partì per l’Illinois, nel 2012, per il suo anno all’estero con Intercultura. Vista la sua esperienza positiva, la decisione di partire è venuta naturale. Quindi, nel 2014, ho preso anche io l’aereo, grazie a questa fantastica associazione, per fare un’esperienza all’estero, precisamente in Carolina del Nord. Mi sono trovata così bene in quell’anno che ho deciso che sarei tornata in America dopo aver conseguito il diploma a Lanusei.

 

Oggi vivi ancora con la stessa famiglia che ti ha ospitato durante la tua esperienza di Intercultura? Se sì, cosa rappresenta per te?

Al momento no perché mi trovo a Baltimora, in Maryland, per via del mio Master in Psicologia clinica. Sono andata a vivere con loro mentre frequentavo il mio primo anno di università. In quel periodo sono stati un valido supporto da vari punti di vista: morale, logistico ed economico. Mi hanno sempre fatto sentire parte della famiglia e tutt’oggi ci vediamo per feste e ricorrenze. La distanza e i miei impegni universitari rendono arduo vedersi, ma ci sentiamo comunque vicini. In particolare, grazie all’esperienza con Intercultura, ho trovato una sorella con cui ho condiviso momenti felici e di difficoltà, e a cui sono tutt’oggi molto legata.

 

Avendo frequentato sia il liceo che l’università in America, hai un quadro ampio sulle differenze tra il loro sistema scolastico e quello italiano. Quali sono, per te, le principali?

Per quanto riguarda il liceo, le differenze principali riguardano l’organizzazione delle lezioni: in America sono più incentrate verso la pratica che verso la teoria. Da un punto di vista accademico, i licei americani non sono suddivisi come i nostri (classico, scientifico, etc.), ma gli studenti hanno la libertà di scegliere che corsi frequentare. In questo modo ogni studente può avere un percorso di studi personalizzato e più vicino ai suoi interessi e ambizioni. Le maggior parte delle materie si differenziano totalmente da quelle italiane: ci sono corsi sulla fotografia, ceramica, e tantissimi sport e club dove puoi iscriverti. Infatti lo sport in America è una parte fondamentale della vita studentesca perché ogni liceo vanta le proprie squadre in diverse discipline e gli incontri sportivi contribuiscono alla vita sociale di tutti gli studenti. Tutto concorre a creare un senso di appartenenza e grande orgoglio verso la propria scuola, celebrandolo, da tradizione, con balli scolastici e eventi organizzati dal liceo stesso. Non si va a scuola il sabato, e ci sono solo quattro anni di liceo.

Invece, per quanto riguardo l’università, posso affermare che sia strutturata in modo similare al liceo. Infatti, gli studenti scelgono un percorso, completano classi e i rispettivi esami semestrali, ottenendo una laurea dopo circa quattro anni. Anche all’università l’orgoglio scolastico è enfatizzato: per esempio nella mia, In Carolina del Nord, gli studenti si chiamano “Wolfpack” ovvero “Branco di lupi”. Una differenza sostanziale che, purtroppo, ho riscontrato con l’università italiana media, è che l’America offre tantissime opportunità di eccellere ed è forte la meritocrazia. Nel 2020 mi sono laureata “Summa cum Laude” ovvero con il massimo dei voti, prima su 7000 studenti, e sono risultata vincitrice del “Outstanding Research Award of the Year in Psychology” (premio per la migliore ricercatrice dell’anno nella mia disciplina). Questo a dimostrazione del fatto che, nonostante i costi esorbitanti, l’impegno costante e le borse di studio ti premiano. Un lato negativo di frequentare le università americane è che, visto appunto i costi molto alti della retta, molti studenti devono indebitarsi per potersi permettere un’istruzione.

 

 

Come occupi il tuo tempo libero? 

Il tempo libero non è molto, purtroppo. In questi ultimi cinque anni ho lavorato all’interno dell’università, come barista e assistente ricercatrice in diversi laboratori, per cercare di essere, almeno in parte, indipendente dal punto di vista economico. Quando non sto lavorando, studiando, o giocando con il mio gatto, mi piace leggere, disegnare, e uscire con gli amici. Tutto questo, ovviamente, prima che il Covid-19 entrasse nelle nostre vite.

 

In relazione al Covid-19, come hai vissuto e stai vivendo questa situazione così lontana da casa, ma soprattutto in una Nazione dove la sanità non è gratuita come in Italia?

Letteralmente rinchiusa in casa.  La mia università ci offre la possibilità di seguire le lezioni per via telematica. Come studente ho dovuto fare un’assicurazione sanitaria (abbastanza costosa) che mi copre in caso di malattia, coronavirus compreso. Da marzo 2019 ad oggi, la parte più difficile è stata essere così lontana da Lanusei, specialmente quando in Italia la situazione era veramente drammatica e la mia famiglia era a rischio. Per fortuna abbiamo la possibilità di videochiamarci tutti i giorni.

 

 

 

Ti manca la Sardegna?

Molto. Mi mancano la famiglia, gli amici, ma soprattutto il modo di vivere. Il tempo sembra andare molto più lento, rilassato, ed è tutto meno stressante in Sardegna. In Carolina, e in America in generale, invece è tutto molto frenetico, concentrato sugli obiettivi (che siano lavorativi, scolastici, sociali), e a volte ci si dimentica quanto sia piacevole godersi le piccole cose. Mi manca bere il caffè nel bar sotto casa, l’aperitivo prima di cena che dura molto più di quello che ti aspettavi, le passeggiate in spiaggia la mattina. Per fortuna ho la possibilità di tornare almeno una volta all’anno!

 

Per quanto riguarda le tue ambizioni lavorative, dove ti vedi tra 10 anni? Tornerai mai in Sardegna?

Tra 10 anni spero di aver finito l’università. Dopo il Master vorrei prendermi un PhD (corrispettivo del dottorato) e poi iniziare a lavorare come ricercatrice in ambiente accademico. Tra 15 anni, più meno, spero di poter lavorare in un centro clinico, ospedale, o qualcosa di simile. Non credo che questa mia aspirazione, sfortunatamente, potrà mai riportarmi in Italia.

 

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