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Roma, feti sepolti coi nomi delle donne, oltre a quello di Marta si scoprono decine di altri casi

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Foto Il Messaggero

Dopo il caso di Marta ne fioccano altrettanti sulle croci per i feti sepolti nei cimiteri romani con scritto il nome della donna. Marta scopre di dover ricorrere a un aborto terapeutico dopo la 20esima settimana di gravidanza e, con tutto il dolore che comporta, a inizio anno si sottopone all’intervento all’ospedale San Camillo di Roma. In estate scopre che il feto è stato seppellito al cimitero Flaminio, che sulla lapide c’è una croce bianca in legno e c’è scritto il suo nome e cognome. La donna denuncia l’accaduto con un post su facebook e la politica e le associazioni si mobilitano in massa.

Ieri la stessa cosa è accaduta a un’altra donna che ha trovato il proprio nome su una tomba al cimitero Flaminio di Roma, neanche lei aveva chiesto la sepoltura. Come le altre che l’associazione «Differenza Donna» ha contattato dopo aver visto i loro nomi sulle croci.

L’ospedale San Camillo, dove è avvenuto l’aborto terapeutico di Marta, con una nota ufficiale spiega che la struttura «non ricopre nessuna funzione né responsabilità sulle modalità di sepoltura del feto». Attività che «sono di completa ed esclusiva competenza di Ama». «Se problema di violazione della privacy vi è stato», spiega il direttore generale Fabrizio d’Alba, «questo non è riferibile alle attività dell’azienda ospedaliera e della Asl, ma è avvenuto all’interno del cimitero Flaminio». Ama, interpellata dal manifesto, ribadisce di aver agito «per garantire l’identificabilità delle sepolture». Ama parla di una sepoltura «effettuata su specifico input dell’ospedale e autorizzata dalla Asl». «Semplici esecutori dei regolamenti», spiegano, «non abbiamo nessun ruolo in simili decisioni». Quanto al segno funerario (la croce), «è quello tradizionalmente in uso, in mancanza di una diversa volontà». E il nome della madre sulla tomba? «L’epigrafe deve in ogni caso, in assenza di un nome assegnato, riportare alcune indicazioni basilari per individuare la sepoltura».

Ora il Garante della Privacy «ha deciso di aprire un’istruttoria per fare luce su quanto accaduto e sulla conformità dei comportamenti, adottati dai soggetti pubblici coinvolti, con la disciplina sulla privacy».

Intanto Cathy La Torre, avvocata e attivista bolognese per i diritti civili, è pronta col suo studio Wildside-Human First a citare per danni chi ha deciso di mettere quei nomi di donne sulle croci. E ha aperto una mail per raccogliere storie di donne che hanno subito questa violazione. «Si tratta di una inaudita violazione della privacy e in particolare del regolamento europeo del 2016 che vieta di trattare dati genetici, relativi alla salute o alla vita sessuale della persona». La pratica della sepoltura dei feti all’insaputa delle madri si sta allargando a macchia d’olio in tutta Italia. Secondo la Torre «ci sono almeno 80 cimiteri dei feti».

 

 

 

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