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23 giugno, la notte di San Giovanni: quando le giovani donne sarde leggevano il proprio futuro nelle piante

Anticamente durante la vigilia di San Giovanni, la notte tra il 23 e il 24 giugno, fino alla prima metà del ‘900, non era difficile imbattersi, sull’orlo delle mulattiere di tutta l’isola, in un via vai frenetico di vivaci gonnelle di orbace, intente a segnare, cioè legare con dei nastrini identificativi, dozzine e dozzine di piantine campestri.

Erano le ragazze in età da marito che sceglievano i fiori dell’asfodelo, i grappoli d’oro della ginestra, la lavanda, la salvia, la melissa, il verbasco, la menta, il timo, l’elicriso e il rosmarino, perchè durante questa notte le erbe, bagnate dalla rugiada di San Giovanni, avrebbero assunto uno speciale potere magico e farmacologico.

Gli usi a cui le piante erano destinati erano molteplici. In alcuni casi ne venivano ricavati dei suffumigi da inalare a beneficio delle vie respiratorie.

Si otteneva, inoltre, un elisir di bellezza lasciando macerare i semini delle varie piante immersi in un bacile colmo d’acqua, per una notte intera trascorsa la quale si picchiettava sul viso il prezioso distillato chiamato ‘Acqua di San Giovanni’.

A dire il vero, però, ciò che maggiormente ci si aspettava dalle erbe balsamiche era il “comprovato” potere divinatorio, che avrebbe rivelato i propri poteri durante l’anno.

Un’erba su tutte era deputata al ruolo di oracolo sulle sorti matrimoniali delle fiduciose raccoglitrici, l’elicriso. La pianta caricata di virtù dalla singolare congiunzione astrale del vicino solstizio d’estate (e ancor più dalla forte convinzione popolare), dava i responsi richiesti circa la professione del futuro marito. Infatti, a seconda della razza d’insetto che veniva sorpreso tra le foglie della piantina si arrivava ad argute deduzioni, ad esempio la presenza della formica era auspicio certo di un onesto lavoratore, la mosca suggeriva l’identità di un partito benestante ma vizioso, la coccinella simboleggiava il pastore, il bruco un ricco possidente di tanche prosperose, il ragno indicava chiaramente un sarto, il lucido scarabeo un fabbro, mentre l’ape era inequivocabile profezia di uno sposalizio con un apicoltore.

Chi, però, deteneva l’autorevolezza di somministrare e indicare tempi e posologia delle varie erbe erano alcune donne riconosciute dalla comunità, farmaciste ante litteram  ma anche sanadoras dell’anima, un po’ psicologhe all’occorrenza. Erano le Fitzas de sa Luna, figlie della luna. Le curanderas di San Giovanni erano persino capaci di curare il “Fuoco di Sant’Antonio” (l’herpes zoster) e preparare le particolari rezette (amuleti) per le fatture d’invidia contro i bambini.

All’indomani della movimentatissima notte da erboriste le fanciulle erano pronte a dismettere usi e credenzevpagane per dedicarsi alle preci dell’altra religione, quella ufficiale, in un divertente ma non meno devoto tram tram quotidiano che scandiva i ritmi di festa e lavoro ma sempre in festosa compagnia.

Mario Fadda

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