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Canottaggio, Stefano Oppo il campione sardo partito da Oristano che arriva a Tokyo 2020

stefano oppo canoa

Stefano Oppo, classe 1994, è un’eccellenza sarda che ha portato alto il nome della Sardegna in una disciplina costosa e impegnativa come quella del canottaggio (campione nei pesi leggeri), sport al quale arriva all’età di 9 nove anni dopo aver detto di no al calcio e al nuoto.

A 15 anni lascia l’Isola per inseguire il suo sogno e diventare un vero professionista, si trasferisce così al centro federale di Piediluco, vicino a Terni dove frequenta poi le scuole superiori.

Stefano, nonostante continui a collezionare successi, è rimasto il ragazzo della porta affianco. Premiato dall’Ussi Sardegna a settembre, dal Cagliari Calcio lo scorso ottobre con una maglia celebrativa consegnata da Capitan Ceppittelli prima di Cagliari – Bologna e a novembre ha ricevuto il premio come migliore atleta del 2019 dalla Federazione Italina di Canottaggio.

Ma il premio più importante Stefano lo ha ricevuto in Kenya, dai Bambini del progetto “Casa Tumaini”, per i quali a novembre, nella sua Oristano ha organizzato una cena di beneficienza, attraverso il ricavato ha garantito 5 borse di studio per cinque ospiti della struttura.

Qual è la difficoltà maggiore per fare sport ad alti livelli in Sardegna?

Secondo me il problema sta nella mentalità, arriviamo ad un certo punto dove quando si dovrebbe fare un salto di qualità ci si perde, forse manca una vera competizione e una spinta dall’alto, poi sicuramente l’essere un’isola lontana dal resto dell’Italia è un limite non indifferente.

Oggi qual è la tua base?

In realtà non ho una base fissa, sono un po’ vagabondo. Durante l’inverno ci alleniamo a Sabaudia, dove resterò fino ad aprile. In primavera torno a Piediluco, dove ci sarà la preparazione finale per le Olimpiadi di Tokyo. La Sardegna? Cerco di tornare ogni volta che posso e di starci il più possibile, forse è più facile ora rispetto a quando ancora ero studente.

L’esperienza che più ti ha segnato?

In realtà ne ho tante, sia successi che insuccessi. Sono legatissimo a quelle di quando, ancora bambino, mi affacciavo in questo mondo. Tra le più belle e soddisfacenti quella delle Olimpiadi del 2016.

L’insuccesso?

Era il secondo anno in cui ero lontano da casa, più che un insuccesso è stata una delusione. Avevo partecipato all’Europeo Junior e poi l’allenatore non mi aveva convocato per i mondiali. Per me fu una scelta ingiusta e ci restai malissimo, però da questo episodio ho tolto fuori la grinta e la voglia di dire “l’anno prossimo sarai costretto a chiamarmi”.

Descriviti in 3 aggettivi.

Determinato, timido anche se ci sto lavorando e poi mi hai messo in crisi.

Direi anche semplice e umile…

Si, direi che ci sta.

Cosa ti manca di più della Sardegna?

Tutto! Dal cibo alle persone, è difficile trovare persone come noi. Ma anche il clima. Quando sono qui mi sembra di avere il tempo per fare tutto, il tempo è scandito in modo diverso.

Hai un tuo moto?

No, un moto no, ma prima delle gare la gestualità è sempre la stessa, anche se non sono scaramantico.

In futuro dove ti vedi?

Questo non lo so, non so proprio. Ora c’è Tokyo, nel 2024 i pesi leggeri non saranno più Olimpici e quindi ci saranno tante valutazioni da fare. Una strada potrebbe essere entrare nei pesi pesanti, l’altra restare nel corpo dei Carabinieri oppure potrei decidere di cambiare totalmente vita.

Come ti accoglie la tua città, Oristano, quando torni a casa?

I miei concittadini sempre bene e con tanto affetto, ma farebbe piacere se si valorizzassero maggiormente gli sportivi locali.

E adesso, concentrazione, sacrificio e sudore, obiettivo Tokyo 2020, dove Stefano, ancora una volta, porterà alto il nome della Sardegna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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