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Camilleri e la Sardegna. Aneddoti di un profondo legame raccontati da Giuseppe Marci

Camilleri e la Sardegna. Aneddoti di un profondo legame raccontati da Giuseppe Marci

di Roberto Anedda

Andrea Camilleri è stato uno dei più importanti autori italiani contemporanei, ma sarebbe riduttivo definirlo solo un grande scrittore. Il senso di dolore provato dai tanti lettori sparsi nel mondo come se si trattasse di un lutto familiare, in qualche modo ci permette di comprendere che tra lo scrittore siciliano e la gente si era creato un legame molto più complesso. Quasi come nell’antichità quando era vitale trasmettere oralmente il proprio sapere e l’esperienza di vita di generazione in generazione, dove tra chi raccontava e chi apprendeva si instaurava una simbiosi fatta di fiducia e rispetto.

Abbiamo avuto l’onore di parlare con Giuseppe Marci, Professore Ordinario di Filologia e della Letteratura Italiana dell’Università di Cagliari, uno dei massimi studiosi ed esperti dell’opera di Camilleri e amico dello scrittore.

«La conoscenza con Camilleri risale al 1997 – racconta Marci – era stato invitato insieme a Francesco Guccini (che aveva appena scritto due romanzi di cui uno in dialetto di Pavana e un altro in quello di Modena) e Franco Loi poeta dialettale milanese. Avevamo bisogno di scrittori con determinate caratteristiche, perché ci interessavamo della commistione di lingue che esistono nella letteratura sarda dalle origini ai giorni nostri e andavamo a studiare le varie letterature, quella italiana in primo luogo».

Camilleri non aveva ancora raggiunta la fama che ebbe in seguito, ma il gruppo del quale faceva parte Marci, composto da professori, ricercatori e studenti apprezzavano e leggevano le sue opere da anni. Del sodalizio universitario cagliaritano faceva parte anche lo scrittore Sergio Atzeni, che dopo aver letto i primi romanzi dell’autore siciliano, in particolare “La stagione della caccia”, lo aveva definito “fratello” constatando un’idea affine di lingua, per quanto uno scrivesse in sardo e l’altro in siciliano. Eppure lo stesso compianto scrittore sardo, nonostante condividesse la stessa casa editrice, la Sellerio, non conosceva la biografia di Camilleri.

«Oltre vent’anni fa – spiega Marci – era impossibile trovare foto dello scrittore Andrea Camilleri, inoltre nei suoi primi libri non era riportata nemmeno la sua data di nascita. Osservando la sperimentalità della lingua nelle sue opere, avevamo immaginato si trattasse di un giovane, non sapevamo ci saremmo ritrovati davanti un uomo in età avanzata».

Camilleri rimase in Sardegna tre giorni, e ancora il professore cagliaritano ne serba un affettuoso ricordo. «Ci fu un bellissimo incontro – dice Marci – dopo Cagliari, anche all’Università di Sassari e alla Biblioteca di Sorso. Ebbi modo di vedere e apprezzare, oltre la straordinaria qualità letteraria, grandi doti umane come: l’affabilità, le generosità e disponibilità di Camilleri nei confronti degli altri. Queste grandi qualità erano in sinergia con l’idea della cultura alla portata di tutti, non un fatto elitario e chiuso. La sostanza di questa si esprime attraverso l’incontro e lo scambio. -continua Marci – Un incontro tra due individui non può essere un fatto neutro, quindi a maggior ragione se si ha la fortuna di conoscere una personalità di tale caratura non può che segnare significativamente l’altro individuo».

Sicuramente la cosa è stata reciproca, e anche la conoscenza di Giuseppe Marci ha fatto intravedere qualcosa di importante ad Andrea Camilleri, visto che da allora si sono incontrati non solo in occasioni ufficiali ma anche in private. In Sardegna nel 2003 lo scrittore siciliano accettò di presiedere una commissione letteraria a Nuoro, visto la sua grande generosità, e visto il contatto diretto tra i due, fece da tramite con gli organizzatori lo stesso Marci.

Con l’Isola c’era un rapporto privilegiato che lo scrittore esternò già al primo incontro in aeroporto con il professore, svela Marci: «”Sappia che vengo qui, anche per mandato di mio padre”, questa fu la frase che proferì dopo esserci presentati. Stava esaudendo una promessa fatta al padre, che gli aveva chiesto di andare in Sardegna. Il padre aveva combattuto nella Grande Guerra tra le fila della Brigata Sassari e dal Capitano Lussu aveva avuto “l’ordine” di visitare la Sardegna una volta finito il conflitto. Non avendo potuto “obbedire”, aveva dato al figlio il compito di esaudire questa volontà».

Nel 2013 in occasione del conferimento della laurea magistrale honoris causa, da parte della Facoltà di Studi Umanistici dell’Università di Cagliari, Camilleri tenne una memorabile lezione sulla figura del padre nella letteratura. «Nella parte finale di questa – racconta Marci – spostò il discorso su suo padre, con la platea emozionata. Ho sempre pensato volle fare un regalo a noi sardi quando svelò un aneddoto, mentre il suo viso era rigato dalle lacrime. Ricordò che rivivendo una scena, nella quale il Capitano Lusso lo richiamò esortandolo a spostarsi perché esposto al tiro. “Si defili”, disse con tono crescente e imperioso come se fosse il Capitano Lusso, parlando con il figlio credendo fosse lui stesso da giovane. “Si defili o vuole insegnare a noi il coraggio, coglione di un siciliano” disse. “A noi” intendeva i sardi, credo che Camilleri tra i tanti temi possibili, ci abbia fatto un omaggio con questo ricordo della figura paterna».

Come affermò Camilleri in un’intervista alla stampa, il volto di Marci unificherebbe tutte le caratteristiche del suo personaggio letterario che lo rese celebre: il Commissario Montalbano. «C’è un livello che io ho sempre percepito come affettivo – dice Marci – e c’è un fatto: lo scrittore ha bisogno di consolidare con un riferimento alla realtà, le sue visioni e le sue creazioni artistiche. Io e lui non abbiamo mai parlato di questa cosa, se non qualche battuta affettuosa, senza mai essere entrati nel merito della cosa – prosegue -. Non pensava di andare avanti con Montalbano, e non aveva una fisionomia delineata del personaggio, in seguito l’ha definita scrivendo altri romanzi. Comunque questa somiglianza l’ho considerata come una cosa divertente, in quanto Camilleri si divertiva e quindi andava bene così, era un’attestazione affettuosa. Per come si è sviluppato il Commissario, in riferimento alla visione del mondo, idee politiche e tempi di vita ci sono aspetti che ci accomunano».

Uno scrittore come Camilleri capace di realizzare un’opera così ampia che è un’epopea, nella quale vi sono migliaia di personaggi, ognuno dei quali con una fisionomia e un carattere di due o tre persone reali, aveva un bisogno quasi vitale di “assorbire” con la sua mente dalla realtà. «Ha applicato un dono naturale, lui aveva una memoria che è difficilmente definibile, se non dicendo che “la sua testa era come un computer”. Negli anni continuò a produrre, nonostante l’età, romanzi molto importanti a mio avviso. Lui aveva un’idea della scrittura come un essere vivente: che evolve e cresce. Una visione dinamica della vita e della sua opera». Lo scrittore siciliano ha avuto sempre una fiducia sconfinata nei confronti dell’essere umano, e soprattutto dei giovani capaci di superare i periodi bui dell’umanità. «Camilleri aveva l’idea – racconta Marci – che grazie all’energia, la speranza e l’intelligenza delle nuove generazioni ci si potrà risollevare da epoche come quella attuale, di chiusura nei confronti dei migranti».

Infatti una delle ultime opere che ha scritto, è stato un testo di carattere memorialistico una lettera a una pronipote, la figlia della nipote. Il libro “Ora dimmi di te. Lettera a Matilda” si proietta nel futuro, raccontando a questa sua discendente diretta la sua vita e la storia attraversata, senza che non sia nessun altro a raccontargli di suo bisnonno, ma lui stesso. «Una fiducia nel futuro – spiega Marci – con la consapevolezza che la storia continuerà dopo di noi, e ci sarà un nuovo sviluppo. Non un banale ottimismo, ma un atto di speranza e fiducia nell’essere umano».

La produzione dello scrittore siciliano è monumentale, non facile da affrontare con oltre un centinaio di titoli. «Secondo me – spiega Marci – l’opera di Camilleri è come se fosse un “grande affresco”, con tante parti legate l’una all’altra, non è sufficiente leggere qualcuna di queste. Bisognerebbe avere una conoscenza totale, riuscendo a vedere le connessioni fra l’una e l’altra, e ricostruire l’interezza nella propria mente di questo “grande affresco”». Infatti si augura Marci, «Servirà un lavoro lungo e spero venga fatto in futuro. Quando ci sarà un distacco da questa grande opera e si passerà ad una meditata valutazione da parte degli studiosi che avranno più elementi per comprenderla».

Un tema sul quale riflettere, secondo lo studioso cagliaritano, sarà il perché Camilleri abbia venduto oltre 31 milioni di copie e cosa abbia ritrovato il lettore in queste opere. C’è poi il successo delle traduzioni: perché un americano, cinese o di un’altra nazione lontana, con concezioni e visioni differenti dalle nostre, prova interesse e apprezza l’opera di Camilleri?

Il professore cagliaritano che in passato ha organizzato seminari con l’Università di Cagliari sull’opera dello scrittore siciliano, attualmente sta lavorando sui quaderni camilleriani. Sta poi personalmente redigendo il Camillerindex: un indice dei nomi, dei toponimi e delle parole significative dell’opera camilleriana. Disponibile per la visione di tutti in rete, per ora raccoglie i dati delle prime cinque opere dello scrittore. Un lavoro molto lungo e per il quale necessiteranno diversi anni per completare l’indice integralmente.

Se vogliamo accostarlo a qualche scrittore italiano, ci dice Marci: «Camilleri si muove nel solco di una grande tradizione letteraria italiana, che parte dalle origini, con il primo nome che bisogna citare secondo me è quello di Boccaccio. Corre attraverso tutta la letteratura italiana “in quel fiume”, come lo chiama Nino Borsellino studioso di Camilleri, della letteratura che si nutre degli elementi dialettali. Arrivando a tempi più vicini, certamente Pirandello».

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