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Agente di polizia penitenziaria sardo si toglie la vita durante le ferie nell’isola. Sappe: “Un mal di vivere senza fine”

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Un Assistente Capo del Corpo di Polizia Penitenziaria, di circa 50 anni, originario di Sassari e da molti anni in servizio nel carcere di Vigevano, si è tolto la vita ieri nel tardo pomeriggio, sparandosi con la pistola d’ordinanza, in Sardegna, dove trascorreva un periodo di ferie. A darne notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE.

«Sembra davvero non avere fine il mal di vivere che caratterizza gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, uno dei quattro Corpi di Polizia dello Stato italiano – dichiara Donato Capece, segretario generale del SAPPE -. Siamo sconvolti. L’uomo era benvoluto da tutti, molto disponibile ed era sempre a disposizione degli altri. Per questo risulta ancora più incomprensibile il suo terribile gesto».

Capece non entra nel merito delle cause che hanno portato l’uomo a togliersi la vita, ma sottolinea come sia importante «evitare strumentalizzazioni ma fondamentale e necessario è comprendere e accertare quanto hanno eventualmente inciso l’attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere dal poliziotto. Non sappiamo se, in questo, era percepibile o meno un eventuale disagio che viveva il collega. Quel che è certo è che sui temi del benessere lavorativo dei poliziotti penitenziari l’Amministrazione Penitenziaria e il Ministero della Giustizia sono in colpevole ritardo, senza alcuna iniziativa concreta. Al ministro Bonafade ed ai Sottosegretari di Stato Morrone e Ferraresi chiedo un incontro urgente per attivare serie iniziative di contrasto al disagio dei poliziotti penitenziari».

«È luogo comune pensare che lo stress lavorativo sia appannaggio solamente delle persone fragili e indifese: il fenomeno colpisce inevitabilmente anche quelle categorie di lavoratori che almeno nell’immaginario collettivo ne sarebbero esenti, ci riferiamo in modo particolare alle cosiddette “professioni di aiuto”, dove gli operatori sono costantemente esposti a situazioni stressogene alle quali ognuno di loro reagisce in base al ruolo ricoperto e alle specificità del gruppo di appartenenza, spesso come in Lombardia in condizioni di lavoro difficili aggravate dall’endemica carenza di Agenti – conclude Capece -. Il riferimento è, ad esempio, a tutti coloro che nell’ambito dell’Amministrazione di appartenenza spesso si ritrovano soli con i loro vissuti, demotivati e sottoposti ad innumerevoli rischi e ad occuparsi di vari stati di disagio familiare, di problemi sociali di infanzia maltrattata ovvero tutto quel mondo della marginalità che ha bisogno, soprattutto, di un aiuto immediato sulla strada per sopravvivere. E certo è che in Lombardia poco e nulla è stato fatto per prevenire il disagio lavorativo dei poliziotti penitenziari: due suicidi di poliziotti in sole tre settimane deve fare seriamente preoccupare e riflettere».

«Il Ministero della Giustizia e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria non può continuare a tergiversare su questa drammatica realtà – conclude Capece -. Servono soluzioni concrete per il contrasto del disagio lavorativo del Personale di Polizia Penitenziaria. Come anche hanno evidenziato autorevoli esperti del settore, è necessario strutturare un’apposita direzione medica della Polizia Penitenziaria, composta da medici e da psicologi impegnati a tutelare e promuovere la salute di tutti i dipendenti dell’Amministrazione Penitenziaria. Non si perde altro prezioso tempo nel non mettere in atto immediate strategie di contrasto del disagio che vivono gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria è irresponsabile. Vorrei fare un appello al Ministro Bonafede: se ci sei, batti un colpo».

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