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L’artista sarda Stefania Lai al lavoro a Lentini. Tre le installazioni donate al paese siciliano

Il Palazzo Beneventano di Lentini è una dimora storica degli Orsini-Beneventano, con primo impianto nel milleduecento, abitato fino ai primi anni del secolo ventesimo e ora in gestione ad un gruppo di giovani  professionisti che stanno avviandolo a luogo del contemporaneo. Per quasi due settimane questa singolare “residenza d’artista” siciliana ha ospitato la nota artista ogliastrina Stefania Lai, che ha realizzato e donato alla comunità tre installazioni.

Tre opere in lana e canapa sarde, intessute, completate e accompagnate da tessuti, fili, forme e componenti strettamente del luogo. Tutte le opere realizzate in questa residenza, infatti, sono site-specific. Quindi esclusivamente pensate per quel luogo.

«Sono stata accolta da loro e devo dire, da tutta la comunità lentinese, per 12 giorni e lì ho realizzato tre opere con materiali organici che ho fatto giungere dalla Sardegna: canapa e lana di pecora – spiega l’artista lanuseina –  Credo che il fenomeno delle residenze d’artista sia l’ultimo esempio di mecenatismo rimasto a sostegno dell’artista ed inoltre l’incontro fra culture e luoghi è sempre fucina di buoni risultati. La residenza d’artista è un incontro. Una possibilità di acquisire nuovi e inaspettati elementi preziosi da plasmare, custodire, ricucire in opere che altrimenti non avrebbero potuto essere. Muoversi soli, cambiare spazi e tempi, incontrare luoghi pieni di vibranti presenze che suggeriscono e chiedono di materializzarsi. Questa esperienza a Lentini, in una Sicilia forte e saporita, è stata importante. Accolta da una comunità grata alla mia presenza e al mio lavoro che resta qui come un dono al Palazzo, al territorio, a chiunque voglia relazionarsi ad esso nel discorso che sempre l’opera è capace di sostenere col fruitore. Sono stata accompagnata, sostenuta, ascoltata come non avrei immaginato».

Le tre installazioni si intitolano “Amici, non ci sono amici”, “… fino a completa guarigione”, “Yolanda. Non sono mai completamente nata”.

Analizziamo nel dettaglio le tre opere di Stefania Lai, che saranno visibili a chi visiterà il Palazzo Beneventano di Lentini: 

“Amici , non ci sono amici” (canapa sarda, legno, tele e filo, 2019) L’installazione cita una meravigliosa poesia di Manlio Sgalambro, che qui a Lentini nacque. La frase estrapolata afferma una condizione che può esistere fra due o più individui e subito dopo la nega. Amici, non ci sono amici. Questa installazione vuole indagare l’inevitabile equivoco che esiste fra due persone che si rapportano fra loro. Ciò che io porto all’altro passa sempre attraverso un vissuto che lo trasforma rispetto a ciò che io avrei voluto comunicare . Ciò che l’altro mi porta non arriva mai come puramente egli avrebbe voluto. I rapporti tra persone sono quindi costantemente in movimento, questo filo rosso teso fra loro è sempre lo spazio di una mutazione dei contenuti che lo attraversano . Ciò permette una certa imprevedibilità delle cose , un’apertura al nuovo persino auspicabile . Le due opere sono rotonde, realizzate con materiali diversi. La base di canapa Sarda, naturale. I fili e le stoffe, così come la lana cardata colorata sono materiali che vengono dal mio studio in Sardegna così come dai magazzini di Palazzo Beneventano. Sono quindi metafora dell’incontro.

“Yolanda. Non sono mai completamente nata”. (lana di pecora sarda, rete metallica, lana cardata, fili colorati, 2019). Quest’opera nasce per l’esigenza di dare voce ad una presenza dimenticata. Una donna cancellata dal tempo e dalla storia. Una donna semplicemente diversa da come si sarebbe voluto che fosse, perciò esclusa, rimossa. Ho realizzato questo abito in lana di pecora sarda e ho voluto rappresentare un grande dolore, la perdita del sé, la perdita dell’orientamento in questo tempo e in questo mondo tramite un foro diretto nel petto. Lo stesso foro però ho voluto renderlo uno spazio abitabile, uno spazio abitato da una nuova primavera. Ogni dolore è un luogo da abitare, da far fiorire. Ogni nome ha diritto di essere chiamato e cantato. L”installazione è corredata da un componimento apposto come una lunga linea sul muro che recita così :

Non sono mai pienamente nata.
Parte di me è rimasta impigliata
dentro un ventre di madre fuggitiva.
In un abbraccio scomposto e scomparso
Di bianche camice di forza.

Non sono ancora pienamente nata
Ma mi descrive la forma dell’ombra
Nella scura trasparenza compiuta
Capace di ardimentosi voli e proiezioni infinite,
inarrestabile nel moto, inafferrabile.
Posso ciò che non puoi,
Sono vicina e lontana, ma tu chiama.
Resto in questa strutturata immaturità.
In questa nudità che cela infinite nudità stratificate e tardivi travagli.
Ma tu canta il mio nome.

Chiama e canta
Ed io mi partorisco
Cucendomi addosso
Insieme a primavere incessanti
La mia stessa ombra

“… Fino a completa guarigione”. (lana di pecora sarda e canapa sarda su 12 tele, legno, fili, smalti acrilici, 2019) Questa composizione prende il nome da un verso dell’opera di Franco Battiato, “ Le Sacre sinfonie del tempo”. Essa recita “nei secoli dei secoli fino a completa guarigione”. È il moto di ogni essere vivente. Guarire è portarsi ad uno stato di pienezza, far cadere limiti e barriere. Le indicazioni, le prescrizioni che questo luogo portava erano solo suggerite, istintivamente sarebbe stato naturale inserire due pannelli, due opere, nelle rispettive nicchie. Ma i limiti stessi sono fatti per essere superati, e a volte ignorati, se vogliamo conservare la nostra libertà di movimento. Per questo l’installazione seppure realizzata con forme geometriche si muove libera e continua a salire lungo la parete, può fluttuare addossandosi ai muri e andarsene libera oltre gli spigoli e le architetture. Verso domani e verso l’alto.

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