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Zio Mario Firinu, 98enne di Villagrande: dalla prigionia in Inghilterra all’amore per la fotografia

Zio Mario Firinu

Zio Mario Firinu

Zio Mario Firinu, classe 1920, è allegro, felice di accogliere nuovi ospiti. Gentile e disponibile, cede persino la sua poltrona. Sorride spesso mentre racconta ciò che ricorda di una vita lunga quasi un secolo. Tiene banco facilmente con un’innata allegria e un carattere molto espansivo.  «Tieni presente che ho gli anni che ho. Sto bene però» risponde quando gli si chiede come si senta.

Redarguisce un po’ chi lo inonda di domande, curioso riguardo questo quasi secolo che custodisce racchiuso nel suo cuore: «Sono tempi passati! Non ricordo tutto alla perfezione. Guarda quanti anni sono trascorsi da quando è avvenuto il fatto di cui mi chiedi!»

Zio Mario Firinu è nato a Busachi il 4 marzo del ’20. Era una famiglia numerosa, la sua.  «Dieci maschi e due femmine,» ci informa, serio «infatti noi di maiali ne avevamo sempre due, non solo uno come gli altri». Aveva un gemello, Domenico, che è morto un mese fa. Entrambi hanno spento le 98 candeline lo scorso marzo. In due, avevano 196 anni.  Zio Mario si sofferma un po’ sulla figura di Domenico, che non vedeva ormai da tanto – «Da molto tempo non torno a Busachi!» – poi ci racconta di un campo di zafferano. A quei tempi, chiarifica, lo zafferano era utilizzato per fare molte cose. Una fra queste, i dolci.  «Era un orto grande e c’era un campo di zafferano. Da bambino avevo un compito: andavo al campo, la mattina, e tiravo il fiore. Lo portavo ai miei genitori, erano loro che si occupavano della lavorazione. Mica lo mangiavo nel tragitto, però» scherza, sempre pronto a far ridere chi, attorno a lui, si gode le spiegazioni di un tempo lontano.

«C’era anche l’asino. Con l’asino andavo a prendere i fichi d’India che, essendo pieni di spine, dovevano essere raccolti con un cesto.»

Il suo racconto si sposta su un ricordo drammatico legato alla guerra.  «Eravamo in Sicilia,» spiega zio Mario «quando ci hanno fatto prigionieri di guerra. Da lì, rotta verso l’Inghilterra. Ci portavano a lavorare, si lavorava tantissimo. Non ci davano quasi nulla da mangiare. Preparavano un po’ di riso a mezzogiorno e alle due, tre, quando arrivavamo noi, era scotto. Noi non riuscivamo a mangiarlo, quindi alla fine lo buttavano al bestiame. Quindi andavamo avanti solo un pezzetto di pane. Ecco perché, ancora oggi, non mi piace il riso.»

È arrivato a Villagrande intorno agli anni ’50.  «Mio fratello lavorava a Seui. Io ci sono stato ma non sono restato. Sono venuto qui a Villagrande. Lavoravo nell’Elettrica Sarda.» Dormiva in una casetta fatta in lamiere – ci dice, andando indietro di settant’anni – in località S’Errieddu e la notte, poiché questa sistemazione era posta sotto due Querce, il rumore delle ghiande che cadevano sbattendo sul tetto lo svegliava e lo disturbava. È uno dei ricordi più vividi, malgrado le sue due nipoti raccontino di non averlo mai sentito.

Poi, colpo di fulmine e tutto è cambiato.  In breve, matrimonio con la moglie, Zia Zelinda, e trasferimento nella casa dei suoceri.  «Finalmente niente più ghiande!» ride.

«Mia moglie era brava e bella,» ci racconta «io e lei avevamo più di quaranta figliocci! A Villagrande io ho trattato bene le persone e sono stato sempre rispettato. Prima però le persone erano più buone!»

Ci racconta dell’amore per le passeggiate, per l’aria aperta.  «Adesso non posso uscire granché,» confessa «però mi piace molto stare fuori.» Ancora il caldo non arriva e l’umidità rischia di penetrare nelle ossa, ma presto Zio Mario potrà fare di nuovo le sue passeggiate. L’estate si avvicina.  «Andavo al bar qui vicino con i miei amici! Giocavamo a carte e bevevamo un po’ di birra».

Zio Mario, spiegano le nipoti, ama la birra. Ancora oggi la beve, gli piace molto. È proprio con il bicchiere in mano che vuole che venga fatta una foto.  «Mentre bevo!»

E altra regola? Avete mai sentito il detto: “Una mela al giorno toglie il medico di torno?”. Be’, zio Mario ci credeva tanto, in questa massima, al punto da mangiare per decenni una sola mela al giorno. Mezza a pranzo, mezza a cena. E mangiava poco, no a grassi e dolci. 

Non è mai stato in ospedale per cose serie o a lungo, dice. «Solo una volta, ma sono rimasto poco. Coliche renali.»

Una grande passione era quella per la fotografia. Amava fotografare tutto, paesaggi, persone. Le nipoti ci raccontano di avere tantissime foto da bambine proprio grazie a Zio Mario. Ed era buono – continuano –, le difendeva quando, per qualche marachella, il padre le sgridava.

Non perde l’allegria nemmeno al momento dei saluti: «Ma tornate presto?»

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