Le due sconfitte casalinghe della scorsa stagione sono un ricordo sbiadito che brucia ancora, ma il Cagliari è ripartito compatto negli allenamenti in vista della settima giornata di campionato che vedrà i rossoblù opporsi alla capolista Napoli al San Paolo (ore 12.30, diretta Sky Calcio 1 e Premium Calcio). Una delle gare peggiori da affrontare in questo momento della stagione in cui i ragazzi di Rastelli hanno bisogno di ritrovarsi sia nella forma che nell’espressione del proprio gioco. Ecco perché il tecnico di Torre del Greco sta pensando di riproporre il modulo che ha dato scintille a Torino e Milano pur venendo sconfitto.

Il Napoli di Sarri arriva a questo incontro dopo aver infilato una serie di vittorie consecutive da record. A parte il passo falso in Champions contro lo Shakhtar Donetsk, si contano sei affermazioni in campionato col massimo dei punti a disposizione che gli consentono di condividere la prima piazza con la Juventus e il 3-1 rifilato martedì al Feyenoord con una facilità irrisoria. A livello nazionale, i partenopei paiono aver colmato il gap rispetto ai colleghi del nord grazie ad una rosa confermata in blocco ed uno stile di gioco assodato che rende gli azzurri una piccola Barcellona. Importante in questo senso il lavoro di Sarri per rendere i suoi giocatori abbastanza pazienti da venire a capo delle piccole squadre, come visto sabato scorso a Ferrara contro la Spal: la stessa squadra che non è quasi riuscita a fare un tiro in porta al Cagliari ha avuto invece l’ardire di mettere il pepe alla sicurezza degli Azzurri e li ha costretti ad un 3-2 rocambolesco dove nemmeno il bel gioco sembrava fungere da antidoto risolutore. Ed oggi si ritrova a dover proseguire il proprio percorso prima di fermarsi per la sosta a favore delle nazionali: imperativo vincere e confermare il primo posto.

E il Cagliari? Passata al doppia delusione dei confronti interni, il presidente Giulini ha difeso a spada tratta lo staff tecnico, riparandolo dalle bordate che arrivavano dai tifosi. Dimenticate le prime ottime prestazioni, Sassuolo e Chievo Verona hanno rispolverato vecchie ruggini mai sopite. A dispetto di tante polemiche e dello spettro di un cambio in panchina – con tanto di Massimo Oddo pronto a subentrare, Rastelli e i suoi collaboratori hanno tenuto diverse riunioni per rendere meno severa la trasferta di Napoli contro una squadra sulla carta inarrivabile. Se è vero che ogni gara fa testo a sé, il ragionamento è andato al modo migliore per limitare le qualità offensive degli azzurri. Il risultato vede la rinascita del 4-4-1-1 visto sia a Torino con la Juventus che a Milano col Milan, e già sperimentato la scorsa stagione. Un modulo che consente una maggiore copertura e una interpretazione della gara basata su un pressing intelligente e ripartenze cavalcanti. Per farlo diventa fondamentale aver recuperato i giocatori maggiormente in difficoltà fisica nelle ultime prestazioni e aver maggiori risposte da una panchina più profonda. Gioca un ruolo fondamentale il recupero di Pavoletti, Farìas, Melchiorri e persino di Van Der Wiel mentre l’assenza di Pisacane potrebbe essere coperta da Capuano invece che dal giovane Romagna. In attacco il solo Sau dovrà fare reparto col sostegno di Joao Pedro e, talvolta, di Barella.

Quattro vittorie, dieci pareggi e ventuno sconfitte citano i precedenti a “favore” del Cagliari. A dirigere le due squadre ci penserà Rosario Abisso di Palermo, coadiuvato dagli assistenti Longo e Del Giovane, quarto uomo Pezzuto Calvarese è stato designato al Var, mentre l’addetto all’Avar sarà Pillitteri. Il ricordo di Abisso è felice per i rossoblù perché riguarda la vittoria ottenuta al 94′ ai danni del Milan (2-1, gol di Joao Pedro, Lapadula e Pisacane) nell’ultimo turno dello scorso campionato.

PROBABILI FORMAZIONI.

NAPOLI: Reina; Hysaj, Albiol, Koulibaly, Ghoulam; Allan, Jorginho, Hamsik; Callejon, Mertens, Insigne

A disposizione: Sepe, Rafael, Maggio, Maksimovic, Chiriches, Mario Rui, Diawara, Rog, Zielinski, Ounas, Giaccherini

Indisponibili: Milik

CAGLIARI: Cragno; Padoin, Andreolli, Capuano, Miangue; Faragò, Cigarini, Ionita, Barella; Joao Pedro; Sau

A disposizione: Crosta, Daga, Romagna, Van Der Wiel, Dessena, Deiola, Pavoletti, Cossu, Giannetti, Melchiorri

Indisponibili: Rafael, Ceppitelli

Squalificati: Pisacane

Oggi, 23 aprile si celebra San Giorgio, il “Megalomartire” che secondo la leggenda e la tradizione fu capace di sconfiggere il drago.

La vera origine della bandiera della Sardegna, i quattro mori divisi da una croce rossa su sfondo bianco è fortemente legata proprio al Santo.

Il campo bianco diviso dalla croce rossa è infatti per tradizione il simbolo di San Giorgio.

L’origine del vessillo dei quattro mori, simbolo della Sardegna, è legato alle vicende belliche della Corona di Aragona, che dominò la Sardegna dal 1324 al 1479 (poi dall’unione con il regno di Castiglia nacque la Corona di Spagna). La tradizione vede le quattro teste del vessillo come le teste dei quattro capi saraceni sconfitti e uccisi da re Pietro I d’Aragona nel 1096 ad Alcoraz, dove l’esercito aragonese avrebbe ottenuto la vittoria unicamente grazie all’intervento di San Giorgio che apparve sul campo di battaglia nelle vesti di un cavaliere bianco con una croce rossa sul petto.

Vessillo aragonese.

Il vessillo sarebbe quindi la celebrazione di quella vittoria. Nel tempo gli Aragonesi rimasero fedeli a San Giorgio. Poi alla fine del Quattrocento gli Aragonesi-Catalani concessero il simbolo dei quattro mori ai Sardi e conservarono i 4 pali rossi in campo giallo come proprio vessillo.

Nel 1718, dopo una piccolissima parentesi asburgica, la Sardegna passò al ducato di Savoia ma mantenne come simbolo la bandiera dei quattro mori. Nel tempo il simbolo è stato più volte interpretato: prima i mori avevano la barba e la corona, poi hanno messo la benda sugli occhi, benda sulla fronte, croce di San Giorgio più grossa, più fine, orecchino nel lobo sì, orecchino no, teste dei mori rivolte a sinistra, teste dei mori rivolte a destra. Interpretazioni, appunto, spesso legate alla connotazione politica dei rappresentanti politici.

Il vessillo da parte dei sardi è quindi un segno di sottomissione alla corona d’Aragona, fatto comunque proprio nel corso del tempo. I Sardi, infatti, sono restii a cambiare questo simbolo che, nonostante qualche piccolo cambiamento, viene mostrato, almeno in certe parti dell’Isola, con grande orgoglio.

Riva con i quattro mori sul petto.

C’è però anche chi, coerentemente con le proprie origini, per non accettare simboli di dominazione, avrebbe scelto un altro vessillo: il desdichado, l’albero sradicato simbolo del giudicato d’Arborea, ultimo regno autonomo sardo a resistere alla protervia degli Aragonesi prima e degli Spagnoli poi.

L’albero sradicato simbolo del Giudicato d’Arborea nella chiesa di San Serafino a Ghilarza.