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Attesa a San Gavino per il nuovo murale di Giorgio Casu. L’artista racconta il suo sogno per la Sardegna

Ha ormai bisogno di poche presentazioni Giorgio Casu, artista sardo che da anni dissemina le sue opere in tutto il mondo, il viaggio come costante per ora irrinunciabile. Classe 1975, Giorgio si laurea a Cagliari in Scienze dell’Educazione e comincia a lavorare in un centro di igiene mentale, in cui art therapy e laboratori artistici gli permettono di sperimentare con tanti materiali. Anche l’associazione culturale “Chine Vaganti”, fondata con degli amici appassionati di studio, produzione e diffusione del fumetto, dà uno slancio alla sua creatività, ma ad un certo punto gli stimoli si riducono e subentra la decisione di partire: «La Sardegna può darti tanto, ma quando vuoi ampliare orizzonti specifici pecca un po’ di possibilità. L’idea principale era quella di imparare l’inglese – racconta Giorgio frugando tra i ricordi –, e dopo due anni trascorsi in Inghilterra mi sono mosso tra Thailandia, Australia – dove rimane per tre anni a lavorare per delle gallerie – fino ad arrivare a New York, che ora è la mia base anche se non ho mai smesso di viaggiare». E infatti mi dice di aver trascorso recentemente diversi mesi in Messico, dove tornerà il prossimo inverno dopo una tappa in California. «New York offre possibilità uniche: ho avuto subito la possibilità di esporre in luoghi importanti, e mi serviva una base culturale dove arricchirmi come artista. Lì ci sono le persone più qualificate in qualunque campo – spiega –, e non si finisce mai di conoscerla perché è molto grande e si trasforma continuamente».

Murale realizzato da Giorgio Casu a Los Angeles (Fonte: pagina Facebook Giorgio Casu’s Art).

E la Sardegna? «Torno sempre tre o quattro mesi all’anno e ogni volta non vedo l’ora di assaggiare la tranquillità e il silenzio dell’Isola, ancora unici al mondo». Per l’artista l’attaccamento alla terra natia va al di là della retorica: «Chiunque nasca e cresca in Sardegna se la porta dentro dovunque vada; c’è un attaccamento particolare, probabilmente dovuto anche all’insularità, ma non è un fatto negativo». Il discorso è infatti più ampio: «In generale, chi non ha un rapporto organico e cordiale con le proprie radici e cerca di staccarsene non vive bene: abbiamo coordinate genetiche ben precise e il fatto di dimenticarcene ci fa inevitabilmente soffrire».

Dettaglio del murale “Don Chisciotte”, realizzato da Giorgio Casu a San Gavino (Fonte: pagina Facebook Giorgio Casu’s Art)

Il 20 giugno Giorgio comincerà a dar vita ad un nuovo murale nel suo paese d’origine, San Gavino, che conta già altre tre grandi pareti abbellite della sua arte, tutte ammirabili partecipando al tour organizzato dall’Associazione Skizzo per il 23 giugno. L’attenzione per il bilanciamento cromatico e l’intento di decoro urbano si uniscono, in tutte queste opere, alla volontà di «arricchimento culturale, con un gran numero di riferimenti storici, alla storia dell’arte, al territorio, a volte anche come provocazione a chi si attacca alla storia e alla cultura sarda fine a sé stessa». Perché l’arte è anche educazione: «Mi piace che i ragazzi si interroghino sul perché delle scelte fatte per comporre un’opera, la quale può diventare un percorso formativo, stimolare la curiosità ed evitare che ci si soffermi soltanto sulla bellezza». Ciò che conta è che la street art, in quanto pubblica, «si basi su uno studio approfondito del contesto di inserimento. L’artista non deve fare scelte egoiste ma rispettare l’ambiente dove dipinge, in modo che l’opera coadiuvi un determinato paesaggio».

Il murale “Eleonora”, realizzato da Giorgio Casu a San Gavino, accoglie chiunque arrivi ad uno degli ingressi del paese (Fonte: pagina Facebook Giorgio Casu’s Art)

Giorgio Casu si ritiene un privilegiato, a girare il mondo mantenendosi col lavoro che ha scelto e che adora. Ma un sogno nel cassetto c’è: «Mi piacerebbe fare di più per la Sardegna, arricchirla di opere d’arte e far crescere il senso di coscienza dell’importanza dell’arte nei paesaggi». L’esigenza è secondo lui quella di «non fermarci a vedere soltanto ciò che è stato fatto in passato, in modo da trasformare l’isola in un centro d’arte fruibile tutto l’anno e non solo nei quattro mesi estivi. Bisogna creare una nuova energia – conclude – che possa combattere i problemi cronici della Sardegna legati a economia, posti di lavoro, spopolamento e famiglia disgregata, ma non si può fare se mancano il fervore e la produzione culturali». E in questo il potere più grande ce l’hanno le istituzioni.

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