Dieci anni di servizio presso il Poligono Interforze di Quirra per occuparsi di far brillare gli ordigni vecchi. Questo il compito del maresciallo Palombo, primo dei due testimoni del pubblico ministero ascoltati ieri presso l’aula tre del Tribunale di Lanusei.
Il processo, che vede imputati otto ex comandanti del Poligono di Perdasdefogu e del Distaccamento di Capo San Lorenzo in carica tra il 2004 e il 2010 (Fabio Molteni, Alessio Cecchetti, Roberto Quattrociocchi, Valter Mauloni, Carlo Landi, Paolo Ricci, Gianfranco Fois e Francesco Fulvio Ragazzon), è ripreso ieri con le prime testimonianze, dopo circa un mese dall’ultima udienza.
In un’area del Poligono denominata zona Torri, il militare, citato come primo teste e interrogato dal procuratore della Repubblica Biagio Mazzeo affiancato dal vice procuratore onorario Daniele Loi, ha scavato per anni buche profonde fino a 20 metri dentro le quali venivano scaricati enormi quantitativi di materiale da far brillare. A volte le munizioni erano anche 80000. Ordigni di vario tipo tra i quali anche bombe della seconda guerra mondiale. Durante le campagne brillamenti, della durata di un mese, ogni giorno una squadra di 25-30 persone si occupava, tra le altre cose, di interdire la zona coinvolta al traffico di pastori e pochi altri civili per il tempo strettamente necessario all’operazione. Il maresciallo racconta di polveri nere, e a volte bianche e verdi, che si depositavano nell’area in cui, già dopo mezz’ora dall’esplosione, i pastori potevano far pascolare il bestiame. Ovviamente anche le pozze d’acqua dalle quali gli animali si abbeveravano venivano investite dalla nuvola di detriti. Nessuna recinzione fisica per interdire il passaggio di animali e allevatori, ma solo blocchi stradali momentanei.
“A seconda di come tirava il vento – ha raccontato Palombo- le polveri del materiale esploso arrivavano fino a Perdasdefogu o Escalaplano”. E se, al di là del mero recupero del materiale inesploso da far brillare nuovamente, nessuno ripuliva mai l’ambiente dove le operazioni si susseguivano, anche le protezioni del personale coinvolto sembrano essere quantomeno limitate. Tuta da lavoro, guanti in pelle e mascherina per sotterrare “porcherie”, come le definisce più volte il teste, dalla cui esplosione si sollevavano colonne di fumo nero alte parecchie decine di metri.
Ma non è solo la zona a terra ad essere stata coinvolta. Il secondo dei due testi, il capitano dell’Esercito Garrucci, in servizio fino al 1992, ha raccontato infatti che da quando è in pensione ha più volte frequentato le spiagge della zona in qualità di appassionato di pesca subacquea. Racconta di aver trovato in diverse occasioni, l’ultima volta la scorsa estate, residui di ordigni sia in spiaggia che in acqua, durante le escursioni di pesca. Niente di illecito se si pensa che le spiagge sono tranquillamente accessibili al pubblico tra il 24 giugno e il 24 settembre, quando il Poligono è chiuso.
Quanto emerge da entrambi i testimoni è quindi che ciò di cui si occupava l’esercito era la sicurezza legata al materiale che poteva ancora esplodere. Sembrano invece quasi inesistenti, almeno per quanto emerso fino ad ora, azioni di bonifica ambientale per evitare inquinamento di terreni, falde acquifere e mare.
L’udienza (ad assistere fra il pubblico erano presenti anche Mariella Cao, del comitato Gettiamo le Basi, e il deputato di Unidos Mauro Pili) si è conclusa senza sentire gli ultimi due testimoni previsti, a causa dell’assenza di alcuni atti nei fascicoli di cui ha ricevuto copia la difesa. Mercoledì 8 marzo il giudice monocratico Nicole Serra continuerà a sentire altri testimoni dell’accusa.
Carlotta Baldussi