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Intervista a Pietro Mereu

Vistanet - Intervista a Pietro Mereu - Disoccupato in affittoCi sono persone che è difficile descrivere in poche parole. Pietro Mereu, artista lanuseino noto ai più per il documentario “Disoccupato in Affitto”, è certamente una di queste. Dopo attenta valutazione, abbiamo deciso di provarci scegliendo per lui questi aggettivi: provocatorio, eclettico, talentuoso, creativo. Decisamente Mr.Mereu non veste i panni della personcina politicamente corretta: dice tutto ciò che pensa e pensa tutto ciò che dice. Ha una bella testa e una buona cultura. Spara idee ed opinioni come una mitragliatrice: dieci minuti con lui e proverete il famigerato effetto centrifuga. Nonostante questo riesce ad essere leggero, autoironico, divertente. E questi paradossi caratteriali si riflettono nel suo lavoro, sempre immediato e controcorrente. Provocatorio, certo, ma con intelligenza. Togliamoci qualche curiosità sulla sua vita e il suo lavoro parlando con lui.

Disoccupato in affitto: un’inchiesta sul mondo del lavoro che ha fatto discutere. Raccontaci in breve di questo tuo progetto: esigenze, suggestioni, motivazioni e bilanci.

“Disoccupato in affitto” nasce prima come format televisivo: infatti Giorgio Gori, produttore di Magnolia, inizialmente sembrava interessato a farci procedere in quella direzione. Scemato l’interesse di Gori, abbiamo deciso di trovare una soluzione creativa al problema trasformando il format in un documentario-inchiesta sul mondo del lavoro in Italia. A volte quando non si hanno capitali importanti la creatività ne guadagna. Infatti il pubblico ha accolto molto bene il progetto e l’idea del cartello che mi sono portato addosso per le città italiane. A maggio verrà distribuito da Distribuzione indipendente quindi se ne sentirà ancora parlare. Durante il viaggio per lo stivale ci siamo resi conto del malcontento che serpeggia tra la popolazione: l’Italia è un paese bellissimo ma ormai troppo indebitato. Dovremmo tornare alla natura o sperimentare nuove forme di economia sostenibile.

Com’eri da bambino? Quando hai capito che non avresti fatto il ragioniere?

Da bambino ero irrequieto, molto curioso e iperattivo. Ho iniziato a fare teatro alle elementari con un maestro siciliano. Interpretai Giulio Cesare a otto anni, che emozione. Fecero i complimenti a mia madre. Tuttora penso che la cosa che so fare meglio sia recitare. Ho sempre saputo che non avrei fatto un lavoro “standard” perché alla ragione ho sempre preferito l’istinto e la fantasia. Pensa che ho quasi quarant’anni e ancora non so bene quale sia il mio mestiere: forse è questo che mi fa rimanere giovane dentro. Ho sempre fatto nella vita ciò che ho davvero voluto, con passione e spontaneità.

Tre libri e tre film che vorresti consigliarci.

Come film consiglio sicuramente “Le mele di Adamo di Anders Thomas, “C’era una volta in America” di Sergio Leone e “The elephant man” di David Lynch. I libri che invece mi hanno cambiato la vita sono “Quando ero un’opera d’arte” e “La mia storia con Mozart”, entrambi di Eric Emmanuel Schmitt e “Il rosso e il nero” di Stendhal.

Come hai sviluppato il tuo interesse verso il cinema e chi ti ha ispirato?

Ho sempre amato il cinema, sin da bambino rimanevo incantato davanti ai film e poi non ho mai smesso. Ho frequentato il corso di sceneggiatura alla Scuola di Cinema tv e nuovi media di Milano. Quando conobbi Michael Cimino, il regista de Il cacciatore” provai un’immensa emozione. Ma dopo che conosci tanti personaggi, ed io ho avuto questa possibilità, ti rendi conto che la fama non è altro che una questione puramente incidentale. Per quanto riguarda le “influenze” mi verrebbe da dire: tutti e nessuno. Ma se analizziamo il mio documentario probabilmente ci troveremo un’aria sia di Michael Moore che del nostro conterraneo Nanny Loy, per me un intelligente provocatore.

Chi è per te un artista?

Un artista è una persona che crea nuovi mondi. Sinceramente io ne vedo pochi in giro. Bisogna anche dire che i veri artisti molte volte arrivano tardissimo al successo e alla notorietà perché non sono capiti dai propri contemporanei.

Cosa pensi del panorama culturale italiano in generale e di quello sardo in particolare?

 

Il panorama culturale italiano è variegato: cinema, letteratura, teatro, arte. Nel cinema amo Garrone e Sorrentino che seguo sin dagli esordi. A livello di letteratura trovo i giovani italiani poco interessanti, anche se devo dire che Paolo Sortino mi ha sorpreso con il suo “Elisabeth”. Il teatro italiano è avvolto in se stesso, trovo poche cose interessanti, i nostri vicini spagnoli e francesi osano molto di più. Anche la Societas Raffaello Sanzio ha un po’ rotto le palle con il teatro di sola provocazione. Non hanno la forza dei catalani della Fura dels Baus. Per quanto concerne l’arte contemporanea, credo che tutto ciò che c’è di interessante sia ormai in oriente. Il contesto sardo è in piccolo come quello italiano, ma i sardi – sopratutto quelli che lavorano con la parola – hanno una marcia in più. Prima mi piaceva molto Niffoi, ora mi annoia. Interessante la Murgia che trovo molto vera. Innovativi i miei amici Michele Azzu e Marco Nurra. Adoro poi Francesco Abbate per il suo stile graffiante, e sono legato affettivamente all’amico Bepi Vigna, con cui un giorno spero di fare qualcosa in teatro.

Progetti per il futuro?

 

Vorrei continuare a produrre documentari. “Culurgiones mon amour” è uno dei miei nuovi progetti in questo senso. Sarà un documentario con uno stile fresco e alternativo. Protagonista il principe dell’Ogliastra: il culurgione. Al plurale culurgiones. Senti come suona bene. Sopratutto il “culu” iniziale riempie la bocca. Vorrei poi scrivere un libro e una commedia, sperando anche che la mia associazione culturale Cagliostro trasformi il piombo dell’immobilismo in oro dinamico. Non per nulla ha il nome del più noto alchimista della storia. Nel privato, un viaggio in Cina e un figlio con la donna che amo.

 

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