Site icon www.vistanet.it

Da Borghese a La Mantia il “coro” degli chef che non trovano lavoratori: chi ha ragione?

la-mantia-borghese

Nell’epoca di “Masterchef” de “La Prova del Cuoco” e  di “4 Ristoranti”, in cui l’arte della cucina – in un flusso costante che va dai manicaretti caserecci agli impiattamenti gourmet della cucina molecolare – è esposta mediaticamente come non mai, non si fa che parlare della difficoltà di chef e imprenditori di trovare le maestranze necessarie ad alimentare questa industria.

Nei giorni scorsi è stato il celebre chef e volto televisivo di Sky Alessandro Borghese a sollevare il problema del reperimento di lavoratori nei ristoranti. «Sono alla perenne ricerca di collaboratori, ma fatico a trovare nuovi profili, sia per la cucina che per la sala – aveva detto Borghese in un’intervista al Corriere della Sera -. Diciamo che i ragazzi, oggi, hanno capito che stare in cucina o in sala non è vivere dentro a un set. Vuoi diventare Alessandro Borghese? Devi lavorare sodo. A me nessuno ha mai regalato nulla. Mi sono spaccato la schiena, io, per questo lavoro che è fatto di sacrifici e abnegazione. Ho saltato le feste di compleanno delle mie figlie, gli anniversari con mia moglie».

Poi ha rincarato la dose con dichiarazioni molto nette che hanno fatto molto discutere: i giovani «Preferiscono tenersi stretto il fine settimana per divertirsi con gli amici. E quando decidono di provarci, lo fanno con l’arroganza di chi si sente arrivato. E la pretesa di ricevere compensi importanti. Da subito. Sarò impopolare, ma non ho alcun problema nel dire che lavorare per imparare non significa essere per forza pagati. Io prestavo servizio sulle navi da crociera con “soli” vitto e alloggio riconosciuti. Stop. Mi andava bene così: l’opportunità valeva lo stipendio. Oggi ci sono ragazzetti senza arte ne parte che di investire su se stessi non hanno la benché minima intenzione. Manca la devozione al lavoro, manca l’attaccamento alla maglia. Alle volte ho come l’impressione che le nuove generazioni cerchino un impiego sperando di non trovarlo perché, quando poi li chiami per dare loro una possibilità, non si fanno trovare. È frustrante».

Dichiarazioni che hanno sollevato un vero e proprio polverone tra sostenitori e detrattori. Tante le maestranze che hanno replicato al figlio di Barbara Bouchet. Alcuni gli hanno fatto presente le difficili condizioni di lavoro offerte da molti imprenditori della ristorazioni fra turni estenuanti, paghe al limite dello sfruttamento e assenza di giorni di riposo. Altri hanno risposto in tono decisamente più piccato, alludendo alla presunta facilità di carriera che lo stesso chef avrebbe avuto alla luce della sua estrazione sociale non propriamente “popolare”.

A distanza di pochi giorni si è unito al coro un altro grande esponente della cucina italiana lo chef siciliano Filippo La Mantia.

«I ragazzi hanno proprio cambiato mentalità – ha commentato La Mantia ai microfoni di Fanpage – fino a prima del Covid per loro era importante trovare un impiego, adesso è più importante avere tempo. Non sono disposti a lavorare fino a tarda notte o nei giorni di festa». La pandemia – ha aggiunto lo chef – «ci ha fatto capire che prima vivevamo in un frullatore senza nemmeno rendercene conto. I ventenni post Covid non cercano più questo, di lavoro».

«I ragazzi non ne vogliono sapere – ha sottolineato – con me c’è sempre l’avvocato del lavoro, offriamo come livello base 22mila euro lordi l’anno (1300-1400 euro netti al mese) per turni di 8 ore, soprattutto nella fascia 16-24, con straordinari pagati. Ma il fatto di dover essere impegnati fino a mezzanotte li fa scappare».

Insomma, come spesso capita di questi tempi si rischia di banalizzare una questione molto complessa riducendo tutto a una contrapposizione tra “buoni” e “cattivi”, tra “titolari” e “dipendenti”, tra “sfruttatori” e “sfruttati”. È innegabile che nel mondo della ristorazione esistano situazioni al limite dello sfruttamento. Chiunque lavori da tempo nella ristorazione o che abbia un amico o un parente all’interno di questo settore si sarà reso conto che il problema c’è, esiste ed è reale. Per questo è comprensibile che molti lavoratori del settore recepiscano le parole di Borghese o La Mantia come un ennesimo “colpo” inferto alla propria dignità. Ma esiste un concreto problema reale anche dall’altra parte della “barricata”. Se un imprenditore stimato e rispettato come La Mantia offre una remunerazione congrua all’impiego da svolgere, con contratto regolare e diritti garantiti, e non trova lavoratori che la possano svolgere allora non si può dire che sia tutta colpa dei datori di lavoro. Ciò che ne risulta è un mercato sbilanciato tra una grande domanda di manodopera alimentata da un’industria in forte crescita e una scarsa offerta di “braccia”. Chi ha ragione? Probabilmente tutti o nessuno. Quel che è certo è che non è possibile un mondo in cui tutti vadano a mangiare in ristorante e quasi nessuno sia disponibile a servire ai tavoli o a preparare da mangiare.

Exit mobile version