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Storie di un vino naturale. Piero Carta: «La mia missione? Fare riscoprire la Malvasia “ossidativa”»

 

Come Odisseo dopo varie peripezie ritrova la sua amata Itaca, Piero Carta, dopo un lungo “viaggio” interiore, ha sentito un forte richiamo che l’ha riportato nella sua terra d’origine.

Piero è un vignaiolo e produttore di vino naturale, alla sua attività dedica tutto il suo tempo e il suo amore.  Una sintesi della sua storia è presente nell’etichetta delle sue bottiglie: il nome Filet come i centrini realizzati con il telaio, tipici di Bosa, il disegno ne raffigura l’inizio della tessitura con i fili verticali e orizzontali a creare una rete, simili anche ai filari di una vigna, il tutto racchiuso dentro un cerchio a simboleggiare la chiusura di un percorso familiare.

Anche la scelta grafica non è stata lasciata al caso, uno stile quasi infantile, a rappresentare la nascita dell’attività di un ragazzo, di ritorno dalla città, che riannoda i fili con il territorio e la tradizione.

Nell’autunno del 2018 è nata ufficialmente la sua azienda, eppure se per un attimo si riavvolgesse il nastro del passato, nessuno avrebbe mai intuito questo possibile.

«La trasformerò in un campo da calcetto», diceva Piero Carta al padre quando, ancora adolescente, arrivava nella vigna di famiglia a Bosa per svolgere i lavori. Lui che non giocava nemmeno a pallone! Odiava stare sotto il sole tra i filari di vite, e avrebbe preferito passare il suo tempo in compagnia degli amici ad Elmas – dove è nato e cresciuto (ndr) –. Il padre Paolo non si scomponeva più di tanto: «Un giorno potrai fare quello che vorrai, però nel frattempo mi aiuterai».

«Mio padre è sempre rimasto legato a Bosa, anche quando si è dovuto trasferire per motivi di lavoro», racconta Piero.

«Negli anni Ottanta, ha deciso di acquistare un terreno completamente ricoperto di macchia mediterranea, dove prima era presente una vigna. Ha ripulito tutto, reimpiantando vitigni di malvasia. Nel 2010 è stato colpito da un ictus, ovviamente abbiamo pensato esclusivamente al suo recupero, trascurando completamente il vigneto».

Quando il padre ha iniziato a ristabilirsi, Piero ha pensato di andare a controllare le condizioni della vigna.

«Era conciata molto male», racconta, «non potevo fare andare in malora il lavoro di decenni di mio padre, il frutto della sua identità bosana. Ho avvisato mia madre che sarei rimasto lì a sistemare le cose e prendermene cura. Alla fine sono rimasto per sei mesi!»

L’insofferenza adolescenziale aveva lasciato il posto all’amore per la vigna di famiglia, e tutti gli anni passati a fare l’apprendista aiutante del padre, si erano rivelati fondamentali a posteriori.

«Quando ho iniziato a risistemare la vigna sapevo già cosa fare, praticamente mi riusciva in modo naturale. Certo, all’inizio ho dovuto abituare di nuovo il fisico al duro lavoro, ma per il resto mio padre mi aveva trasmesso tutte le conoscenze necessarie».

In questo periodo Carta ha preso coscienza del fatto che sarebbe stato il suo futuro e avrebbe profuso tutte le sue energie nella produzione del vino.

Così nonostante una laurea in Economia, non si fa ammaliare dal canto delle sirene, come l’eroe omerico, da altre prospettive lavorative meno faticose, ma decide di seguire la sua vocazione di viticoltore. Oggi ha chiari in mente quali siano punti cardini a definire il suo cammino imprenditoriale. 

Innanzitutto il legame fortissimo con il territorio, partendo dalla malvasia per arrivare alla valorizzazione del territorio attraverso le sue specificità.

«La storia di Bosa si intreccia con la produzione di malvasia, tanto da essere l’unica area doc in Sardegna –spiega –, è un dato culturale, identitario e sociale, connesso all’ospitalità e alla convivialità».

«Giovanni Battista Columbu affermava che la malvasia “est inu ‘e chistionare”.  Questa frase, oltre al significato letterale, ha un significato più profondo, in quanto descrive l’esperienza sensoriale gustativa, che regala la malvasia.  Un vino che si esprime mentre parli: qualche minuto dopo averne bevuto un sorso, si assapora l’eccellente gusto, essendo un vino palatale».

La sua azienda segue alla lettera la tradizione bosana: «Vinifico con metodo ossidativo» spiega. «Il vino in modo ossidativo si produce così: dopo la fermentazione alcolica, ovvero la trasformazione di zuccheri in alcool, e un breve periodo di stabilizzazione, si fa un passaggio del vino in botti scolme. Questo tipo di uva consente a una particolare categoria di lieviti, che si chiamano flor, di risalire e formare una patina in superficie, che permette un certo interscambio con l’aria».

«Il vino non si ossida e acquisisce dei sentori particolari» continua Carta. «Quelli predominanti sono mandorla, nocciola, mallo di mandorla e una nota un po’ marsalata. La malvasia si vinifica così anche perché in questo modo si conserva a lungo. È un vino che devi aspettare, pronto dopo uno o due anni. Con la mia cantina, insomma, cerco di fare un vino rigorosamente tradizionale».

Piero Carta utilizza metodi di lavorazione esclusivamente naturali, per la produzione del vino.

«Quando mio padre ha iniziato a lavorare la vigna, si è affidato ad un anziano vignaiolo, il Sig. Sotgiu, che lavorava senza usare la chimica. Utilizzava zolfo e rame, la zappa per il terreno e puliva i fusti a mano. Quando, per questioni anagrafiche, non ha più potuto aiutarlo nella cura della vigna, mio padre si è avvalso della collaborazione di vignaioli più giovani, che l’hanno convinto a usare sostanze chimiche che arricchiscono le piante, e macchinari che rendono superfluo il lavoro manuale. La mia convinzione ed esperienza, mi porta ad affermare che il metodo dagli anziani fosse il migliore, in quanto la vigna è più sana e rigogliosa. La mia azienda si basa sul rispetto della terra, della natura: per una mia etica. La produzione di vino ne risente in termine di quantità, ma la qualità del prodotto più alta, e il metodo meno inquinante».

Carta, per ora, non può fregiarsi della dicitura in etichetta del nome Malvasia, in quanto tale dicitura appartiene a coloro che vinificano a Bosa, secondo il disciplinare che identifica la Malvasia Doc. Infatti Piero nei primi anni di vita della sua attività ha vinificato negli spazi della cantina Sa Defenza a Donori, con la quale condivide la stessa etica nell’agricoltura.

Ben presto potrà farlo, quest’anno la vinificazione sarà fatta a Bosa: «Quest’anno è pronta la cantina a Bosa, nella casa costruita da mio padre nel nostro vigneto nel 2000».

Nell’ultima vendemmia Piero ha prodotto circa 600 bottiglia, un’annata non felice dovuta all’eccessive precipitazioni, per un potenziale di 3000 bottiglie della sua vigna che si estende per un ettaro.  Soddisfatto per i riscontri nelle fiera agroalimentare “La terra trema” di Milano, così come nella rassegna di vini naturali a Cagliari “I vignaioli”, dove, alla presenza di dieci espositori isolani e altrettanti nazionali, è stato insignito del primo premio, quale miglior vino, dai degustatori. Le bottiglie del vino Filet di Carta sono stato diffuse non solo in ristoranti e locali isolani, ma anche nazionali, e persino in Danimarca. Dopo un’attenta valutazione degli imprenditori che sapessero valorizzare e apprezzare questo vino naturale.

Piero Carta è riuscito a creare un prodotto di qualità, con una caratteristica difficile da trovare in altri. Nel suo vino: il ricordo della nonna che creava il centrino Filet, il nonno pastore e il suo aperitivo di malvasia condiviso con gli amici, il padre Paolo venuto a mancare questo novembre.

Ogni angolo della vigna racconta a Piero del padre, e sente ancora il suo sguardo orgoglioso dal balcone, mentre lo osservava senza poterlo aiutare a causa della malattia degli ultimi anni. Questo vino ha un’anima…

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 Piero Carta 15  

 

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