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La lettera. “Da mio padre, pastore, ho imparato ad amare famiglia, tradizioni, cultura, natura”, racconta Giacomo Lai, medico

La lettera di Giacomo Lai, medico nato a Irgoli ora residente a Cagliari: con passione e grandissimo affetto racconta le sue origini e quelle della sua famiglia. Di un padre che, per la moglie e i figli, ha lavorato con tanta devozione e passione per il suo mestiere, il pastore.

“Per chi non mi conosce bene sono un medico: negli ultimi anni mi sono appassionato di fotografia a livello amatoriale, ho avuto da sempre la passione per la tecnologia e l’informatica, amo gli sport e in particolare il calcio. Sono nato e cresciuto grazie a un padre che è un pastore da tutta la vita e così suo padre e prima ancora suo nonno. Non ho mai avuto la passione, che è fondamentale, per fare il pastore, ma fin da piccolo, come i miei fratelli, ho dato una mano a mio padre quando necessario. E spesso è necessario.

E ho IMPARATO.

Non ho imparato semplicemente a mungere, spostare le pecore da un pascolo all’altro, macellare un agnello. In mio padre ho un esempio di sacrificio, spinto dall’amore per la sua famiglia, ma anche per la natura e per i suoi animali. Si, anche per quegli animali che vengono fatti nascere sapendo che verranno poi serviti nelle tavole. Perché chi crede di essere di larghe e moderne vedute e giudica, dovrebbe provare a vedere con gli occhi di un pastore che molto spesso spende in farmaci veterinari, per salvare un agnello dalla malattia, più di quanto valga al macello l’agnello stesso. Non voglio dilungarmi su questo argomento, o dare lezioni, ma invitare alcuni a non darne agli altri. 

Io so di aver imparato da mio padre, prima di qualunque atto pratico, ad amare. Ad amare la famiglia, le tradizioni, la cultura, la natura, il mondo, la curiosità, la semplicità e la vita. E ho imparato questo anche attraverso il suo lavoro, che per un pastore più che per molti altri lavoratori si fonde con la sua vita. Se non altro, almeno per il fatto che non potrà mai permettersi di “staccare“, di avere vere vacanze o giorni liberi e quindi il suo mestiere coinciderà con ogni momento della sua vita. Detto questo non voglio elevare l’arte del pastore sopra le altre.  Voglio però ricordare che quando una comunità, una società, un mondo, possiede al suo interno delle unicità, particolarità, diversità, dovrebbe proteggerle sempre, perché sono uno dei tanti modi per arrivare ad amare la vita e la società stessa. Perché per esempio io potrei amare la vita attraverso la medicina, o la fotografia, ma molti altri la amano attraverso la pastorizia che è un modo di essere altrettanto profondo, solo diverso e più sfortunato dal punto di vista economico.

Io vorrei e spero con cuore che in futuro ci siano bambini che impareranno ad amare la vita e il mondo da un padre pastore come l’ho imparato io. Quindi non riduciamo tutto ad una mera questione economica, ma ricordiamo che la questione economica va necessariamente affrontata se non vogliamo che scompaia dal nostro mondo un antichissimo modo di amare la vita. Ammetto che l’Unione della gente, seppur macchiata dai soliti episodi che purtroppo sono sempre presenti in casi simili, mi ha fatto ricredere su un torpore sociale che credevo definitivo o quasi. E sono felice di vivere, seppur da lontano, questi giorni. Che non dovranno essere gli ultimi, qualora non si arrivi a delle soluzioni che permetteranno la vera rinascita e il miglioramento della Pastorizia Sarda. Non conosco queste soluzioni, ma credo che trovarle sia dovere di chi è stato scelto per prendere decisioni importanti. A tutti i livelli. A noi sta il compito di ricordare loro che questi problemi vanno affrontati per il bene prima sociale e poi economico”.

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