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Insularità in Costituzione, Marilotti: «Il principio già riconosciuto dallo Statuto e dall’UE, ma nessuna remora a sostenerlo in Parlamento»

«Quella per l’insularità è una battaglia fondamentale per i sardi ma introdurre il principio nella Costituzione prevede un inter lungo e tortuoso, mentre gli stessi diritti possono essere reclamati chiedendo la piena attuazione dell’articolo 13 dello Statuto autonomistico combinato ad alcune norme già riconosciute dall’Unione Europea. A me sembra che questa sia la via maestra da seguire unitariamente e con determinazione. Ciò detto, se il principio di insularità dovesse arrivare in Parlamento come da voi proposto, e seguire un iter rapido e un’accoglienza da parte di una larga maggioranza parlamentare, non avrei alcuna remora a sottoscriverlo, nella certezza che, pur non risolutivo, rafforzerebbe il raggiungimento dei nostri buoni diritti» afferma il senatore del Movimento 5 Stelle Gianni Marilotti, rispondendo con una lettera all’appello rivolto ai parlamentari sardi da Roberto Frongia e Maria Antonietta Mongiu del Comitato per l’inserimento del principio di insularità in Costituzione, che Marilotti ringrazia “per l’impegno civile di cui meritoriamente vi siete fatti carico”.

«Premesso che ho grande rispetto per gli oltre 110mila sardi e italiani che hanno sottoscritto la proposta, nonché del generoso impegno dei promotori dell’iniziativa, credo che vadano fatte alcune precisazioni» scrive Marilotti. «Concordo pienamente sul fatto che questa sia una battaglia fondamentale affinché le popolazioni delle Isole, maggiori e minori, possano competere in modo leale e in condizioni di parità nel mercato interno europeo, ho però qualche dubbio che la via indicata sia la più efficace a raggiungere lo scopo. In primo luogo perché costituzionalizzare un principio è affare assai complicato e prevede un iter lungo e tortuoso; in secondo luogo, anche se costituzionalizzato il principio di insularità avrebbe bisogno, come tutti i principi generali, di leggi e decreti attuativi senza i quali rimarrebbero sulla carta».

Per il senatore 5 Stelle «il principio di insularità è poi in qualche modo già riconosciuto da Trattati fondativi dell’Unione Europea, come il Trattato di Amsterdam del 1997, rafforzato da quello di Lisbona del 2007. Ma, a ben vedere, esso è inglobato, perlomeno per quel che riguarda la Sardegna, nell’articolo 13 dello Statuto autonomistico, che è parte della Costituzione, laddove si parla del dovere dello Stato, in concorso con la Regione Autonoma della Sardegna, di attuare un piano organico di Rinascita economica e sociale dell’Isola. Solo una errata interpretazione di tale norma generale ha ritenuto che si trattasse di una norma transitoria valevole una volta soltanto. Il combinato disposto tra la piena attuazione dell’articolo 13 del nostro Statuto autonomistico e delle norme della Unione Europea a me sembra la via maestra da seguire unitariamente e con determinazione».

«Ciò detto» conclude Marilotti «se il principio di insularità dovesse arrivare in Aula come da voi proposto, e seguire un iter rapido e un’accoglienza da parte di una larga maggioranza parlamentare non avrei alcuna remora a sottoscriverlo, nella certezza che, pur non risolutivo, rafforzerebbe il raggiungimento dei nostri buoni diritti».

Nella sua lettera il senatore cagliaritano riporta inoltre uno stralcio del suo intervento a sostegno delle ragioni dell’insularità, in occasione lo scorso giugno delle dichiarazioni del presidente Conte sul Consiglio Europeo.

Riportiamo il testo integrale della lettera di Gianni Marilotti in risposta al Comitato.

«Rispondo volentieri alla lettera a firma Roberto Frongia e Maria Antonietta Mongiu a nome del Comitato per l’inserimento del principio di insularità in Costituzione che sollecita i parlamentari sardi affinché sia inserita in Costituzione la dicitura “Lo stato riconosce il grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità e dispone le misure necessarie a garantire una effettiva parità ed un reale godimento dei diritti individuabili e inalienabili”.

Premesso che ho grande rispetto per gli oltre 110mila sardi e italiani che hanno sottoscritto la proposta, nonché del generoso impegno dei promotori dell’iniziativa, credo che vadano fatte alcune precisazioni.

Concordo pienamente sul fatto che questa sia una battaglia fondamentale affinché le popolazioni delle Isole, maggiori e minori, possano competere in modo leale e in condizioni di parità nel mercato interno europeo, ho qualche dubbio che la via indicata sia la più efficace a raggiungere lo scopo.

In primo luogo perché costituzionalizzare un principio è affare assai complicato e prevede un iter lungo e tortuoso; in secondo luogo, anche se costituzionalizzato il principio di insularità avrebbe bisogno, come tutti i principi generali, di leggi e decreti attuativi senza i quali rimarrebbero sulla carta.

È appena il caso di ricordare che altri principi e diritti, sanciti dalla Carta Costituzionale, uno per tutti il diritto al lavoro, attendono da settant’anni di essere attuati. Sono riconosciuti, ma non attuati.

Il principio di insularità è poi in qualche modo già riconosciuto da Trattati fondativi dell’Unione Europea, come il Trattato di Amsterdam del 1997, rafforzato da quello di Lisbona del 2007. Ma, a ben vedere, esso è inglobato, perlomeno per quel che riguarda la Sardegna, nell’articolo 13 dello Statuto autonomistico, che è parte della Costituzione, laddove si parla del dovere dello Stato, in concorso con la Regione Autonoma della Sardegna, di attuare un piano organico di Rinascita economica e sociale dell’Isola. Solo una errata interpretazione di tale norma generale ha ritenuto che si trattasse di una norma transitoria valevole una volta soltanto. Vi sono stati, infatti, altri piani di rinascita settoriali e di efficacia limitata. Non è questa la sede per una valutazione del primo piano di Rinascita, tuttavia è da riconoscere che quello fu un piano organico mai più ripetuto.

Il combinato disposto tra la piena attuazione dell’articolo 13 del nostro Statuto autonomistico e delle norme della Unione Europea a me sembra la via maestra da seguire unitariamente e con determinazione.

Ciò detto, se il principio di insularità dovesse arrivare in Aula come da voi proposto, e seguire un iter rapido e un’accoglienza da parte di una larga maggioranza parlamentare non avrei alcuna remora a sottoscriverlo, nella certezza che, pur non risolutivo, rafforzerebbe il raggiungimento dei nostri buoni diritti.

Nel ringraziarvi per l’impegno civile di cui meritoriamente vi siete fatti carico, vi segnalo uno stralcio del mio intervento in Aula in Senato, sul tema dell’insularità, in occasione delle dichiarazioni del presidente Conte sul Consiglio Europeo dello scorso giugno.

Il Movimento 5 Stelle appoggia la lunga marcia della società sarda per il superamento degli svantaggi derivanti dall’insularità. Non si tratta di una richiesta di condizioni di favore, bensì di un diritto sancito dalle norme europee per riequilibrare una situazione chiara di svantaggio. Ho parlato, signor Presidente, di lunga marcia a ragion veduta: è dal Trattato di Maastricht che viene riconosciuto il dovere dell’Unione di promuovere la coesione economica e sociale tra le Regioni europee. Col Trattato di Amsterdam del 1997, è stato meglio specificato questo principio all’articolo 130 A, secondo comma, che recita “La Comunità mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie Regioni e il ritardo delle Regioni meno favorite o insulari, comprese le zone rurali”.

Poiché per dodici anni nulla si è mosso nella UE per implementare questa nuova disposizione, si è sentito il bisogno di rafforzarla col Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007 che tra le Regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali e demografici cita quelle insulari, transfrontaliere e di montagna. Ma altri dieci anni sono trascorsi invano. La UE, sempre pronta ad intervenire e a imporre severe prescrizioni in settori quali agricoltura e allevamento che interessano Paesi forti, continua a far finta di niente e a non riconoscere il diritto al riequilibrio nelle Regioni che essa stessa definisce sfavorite. Il gioco l’abbiamo capito: da un lato nei documenti ufficiali si declamano principi come questo: “Le politiche di concorrenza della UE garantiscono che le imprese competano in modo leale e in condizioni di parità nel mercato interno europeo”, dall’altro la UE è fortemente matrigna e fa molti pesi e molte misure.

Prendiamo il costo dei trasporti: quello su ferro praticato nella penisola italiana o nel continente europeo ha un costo unitario a chilometro; quello su nave da e per la Sardegna ha un costo unitario assai maggiore e questo surplus va a maggiorare il costo finale con conseguente riduzione del profitto. Altro che parità di condizioni!

Lo stesso discorso vale per l’energia che costa di più per i maggiori costi di trasporto o per l’assenza di una rete, quella metaniera, notoriamente meno costosa.

Noi non vogliamo condizioni di favore, ma di riequilibrio. Vogliamo competere alla pari e questo è un diritto sancito, oltre che dalla nostra Costituzione, dalle norme europee. Si tranquillizzino quanti ci accusano di voler uscire dall’euro o di non voler rispettare i Trattati internazionali, noi vogliamo fare ciò che loro non hanno saputo o voluto fare poiché acquiescenti con la burocrazia europea. Noi siamo il governo del cambiamento, la Sardegna guarda con grande speranza il proposito dichiarato da questo governo di rinegoziare quelle politiche europee che deprimono la nostra economia e di battersi per promuovere quelle azioni che consentano la crescita.

Occorre dare esecutività ad esempio alla Risoluzione del Parlamento europeo del 4 febbraio 2016 sull’insularità, che al punto 4 recita: “Il Parlamento Europeo chiede che la Commissione avvii uno studio/analisi approfondita sui costi supplementari che la condizione di insularità determina a livello dei sistemi dei trasporti di persone e merci e dell’approvvigionamento  energetico, nonché di accesso al mercato, in particolare per le piccole e medie imprese”.

Signor Presidente del Consiglio, la situazione in Sardegna è drammatica. Il PIL negli ultimi anni è crollato dal 76 al 71% della media delle Regioni europee e siamo tornati tra i Paesi dell’Obiettivo 1. Noi sardi tutto vogliamo sentirci dire tranne che problemi più urgenti incombono “Majora premunt”, noi non siamo né ci vogliamo sentire “Minora” che chiedono assistenza. Un nostro grande conterraneo, Antonio Gramsci, diceva a proposito della sua sardità: “Io sono un sardo senza complessi psicologici”. Alludeva a quella particolare inclinazione antropologica tipica della condizione degli isolani. Nessun complesso di inferiorità, né di superiorità dunque. Vogliamo concorrere alla pari al benessere nostro e di questo Paese. Concludo, Signor Presidente del Consiglio, confidando che Lei saprà rappresentare efficacemente queste istanze al prossimo vertice europeo».

 

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