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Sos sinnos: tutto ciò che devi sapere sull libro di Michelangelo Pira in sardo-bittese

Michelangelo Pira, foto Tottusinparis

Sos sinnos” è il romanzo che Michelangelo Pira ha scritto in lingua sardo-bittese durante i suoi ultimi anni e che è stato pubblicato postumo, nel 1983. Nel 1984, un anno dopo la sua apparizione in libreria, viene tradotto in italiano da Natalino Piras.

Ma parliamo dell’autore, un uomo che è ricordato soprattutto per l’impegno nella difesa della lingua della sua terra, oltre che per la sua carriera intensa.

Michelangelo Pira – giornalista, scrittore, antropologo e docente universitario – studia presto la Sardegna, i suoi abitanti e la cultura generale, analizzando in particolare i problemi legati al sopraggiungere della modernità sull’isola. Invita spesso gli isolani a non perdere il proprio senso d’identità etnica e culturale e a non privarsi delle mille sfumature che ognuno di noi eredita dal lembo di terra nel quale nasce.

La lingua sarda, per Pira, non è da vedere come subalterna a quella nazionale, ma deve far parte di ognuno di noi, deve essere difesa strenuamente. È altresì parte dello stesso processo di modernità che ci investe, ogni giorno. La cultura stessa della Sardegna deve collaborare con quella nazionale, andare di pari passo ad essa, arricchirla.

Tornando a “Sos sinnos”, la sua particolarità è l’essere scritto in sardo bittese, non secondo la grafia corretta ma secondo la pronuncia. Pira decide di scrivere “come parla la gente” per ribadire l’importanza della libertà: ognuno deve essere libero di scrivere nel dialetto della propria zona, senza che rigide regole imbriglino la propria identità, il proprio spirito, la propria vocazione. Difende, in questo modo, sia lo strumento linguistico del popolo meno istruito che la ricchezza insita nelle varianti locali di una lingua. Pensa infatti che varietà sia sinonimo di ricchezza e che la lingua debba essere lasciata in pace: deve potersi conservare nel tempo e arricchire liberamente. Pira lega la quotidianità degli abitanti di Bitti – con la loro lingua quotidiana, scritta come parlata – con la letteratura più vasta, quella considerata “ufficiale”. Dà a una lingua quasi inventata lo status di letteraria.

Quella che è la soluzione ipotizzata dai linguisti locali contro il problema della stragrande varietà di parlate locali, ossia l’adozione di una grafia unificata, per lui non esiste.

In questo passo, Bachis (Bachisio) Pinna decide di chiamare il suo settimo figlio Milianu – come Emiliano Zapata – L’impiegato comunale (chiamato dai compaesani Ispantamiseros, “Spaventapoveri”) gli spiega, non senza una certa arroganza, che non è possibile: il bambino deve essere registrato con il nome italiano, Emiliano. Alla fine, verrà fuori che anche l’impiegato comunale – malgrado la sua convinzione di avere una certa cultura e di essere superiore all’analfabeta Bachis – è povero e ignorante.

 

TRATTO DA “Sos Sinnos”, Cagliari, Della Torre, 1983 – traduzione di Natalino Piras in Ichnusa, anno 3, n°7, 1984.

 

ORIGINALE

«Milianu li ponzo.»

«Milianu? E-mi-lia-no.»

«Tue i’ su registru iscrie su chi ti paret. Jeo li sicco Milianu, Milianu Pinna.»

«Pinna va bene, ma Milianu nono. E iscummitto chi tue no ischir mancu ite chere’ narrere custu lumene. Chere’ narrer nato in Emilia, e inbezzes izzu tuo inoche e’ naschitu, in Sardigna.»

S’appricatu cumonale achia’ sempre su diffizile ei s’istruitu. Remunnu, chi aiat approegliatu totu sa idda, l’aia’ postu Ispantamiseros, chi prul giustu de gai non si potiat. Ma Ispantamiseros it unu miseru isse puru, e ispantaiat a isse mantessi. […]

Bachis Pinna l’ischiat isse sa rajone de su lumene chi cheria’ ponnere a su izzu, su ‘e sette. Dae su veterinariu, una via, issu cuile, aiat intesu contare su contu de Milianu Sapata chi de pastore, o massaju ch’esseret istatu, i’ diventatu generale achenne sa gherra a sos riccos chi a sa vine e a s’irfidiata, comente ischin fachere issos, l’aiana mortu che sirvone, ma prima ‘e morrere ja nde lis aia’ datu de anneos e de peleas. E a Bachis Pinna chi su ch’intendiat li restaiat in oricras su contu l’i’ piaghitu. Ei como cheria’ pesare a Sapata, ma i’ secretu, chi so’ riccos no si nd’esseren aizzato, ca si nono su izzu bi lu ucchidiana derettos.

 

TRADUZIONE

«Milianu gli metto.»

«Milianu? E-mi-lia-no.»

«Tu nel registro scrivi quello che ti pare. Io gli continuo Milianu, Milianu Pinna.»

«Pinna va bene, ma Milianu no. E scommetto che tu non sai nemmeno cosa vuol dire questo nome. Vuol dire nato in Emilia, e invece tuo figlio qui è nato, in Sardegna.»

L’applicato comunale faceva sempre il difficile e l’istruito. Remunnu, che aveva dato soprannomi a tutto il paese, gli aveva messo “Ispantamiseros”, che più giusto di così non si poteva. Ma Ispantamiseros era un misero anche lui e spaventava se stesso. […]

Bachis Pinna sapeva lui la ragione del nome che voleva mettere al figlio, il settimo. Dal veterinario, una volta, nell’ovile, aveva sentito narrare il racconto di Milianu Sapata, che da pastore, o contadino che fosse stato, era diventato generale facendo la guerra ai ricchi che alla fine a tradimento, come sanno fare loro, l’avevano ucciso come un cinghiale, ma prima di morire ne aveva dato di fastidi e guerre. E a Bachis Pinna, che quello che sentiva gli restava nelle orecchie, il racconto era piaciuto. E adesso voleva dare al figlio il nome di Sapata, ma in segreto, che i ricchi non se ne accorgessero, perché altrimenti il figlio lo avrebbero ucciso subito.

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