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Ogliastrini nel mondo. Il ventisettenne Carlo Piras: la scelta di partire in Germania e la nostalgia per la Sardegna

Il ventisettenne di Cardedu Carlo Piras si laurea nel 2014 in Tecniche della Riabilitazione Psichiatrica. Sin da prima della laurea pensa alla Germania – prende infatti come ispirazione i racconti del padre e del fratello Enrico –, tuttavia non parte subito: prima fa esperienza in una casa famiglia nella quale lavora per tre mesi.

«L’ultimo periodo in Sardegna non era dei migliori per un motivo, lo stesso che mi ha spinto a mollare la mia terra per un po’: la crisi lavorativa ed economica, nella quale possono sopravvivere solo i pochi che, già benestanti, sono anche felici delle nostre “ottime” riforme del lavoro.» Le altre persone non possono far altro che adeguarsi alle loro regole malsane, dice Carlo.

Il 12 febbraio del 2015 giunge – con il denaro guadagnato nella casa famiglia – a Stoccarda.
«Un altro ogliastrino mi aveva promesso un posto di lavoro. Dei primi giorni, ricordo la tensione: la promessa di lavoro si era rivelata un bidone e io non sapevo assolutamente che fare. Fortunatamente, ho potuto contare sull’aiuto di mio padre: ha contattato due amici di famiglia che vivono a Heimertingen: Mariella Pais (sarda, in Germania da parecchi anni) e suo marito Uwe Neisius (tedesco, che parla italiano e un po’ di sardo).»

I due aiutano Carlo a trovare una camera in un convitto di Memmingem (a 8 km da loro) e la scuola di lingua.
«Durante il corso di tedesco venivano spiegati quasi tutti i contesti della realtà tedesca e tutti i sevizi necessari e nel frattempo si apprendevano piuttosto velocemente le regole della grammatica. Ciò ha reso, per trovare lavoro, tutto decisamente più semplice.»

Arrivano anche le brutte esperienze – condivise anche con altri ogliastrini – con datori di lavoro italiani.
«È una cosa di cui non si può fare a meno, almeno all’inizio: lavorare da italiani. Magari è la paura di dover parlare sempre la lingua tedesca e qualche volta di sembrare ignoranti perché non si capisce qualche parola, e quindi si ripiega da italiani per evitare incomprensioni verbali, rinunciando però a un lavoro regolamentato da normale contratto, agli straordinari, alle mance (a volte così tante da poter raddoppiare lo stipendio) e a un datore di lavoro con cui avere un rapporto normale, sano.»

Non tutti i datori di lavoro italiani son così – assicura Carlo –, molti aiutano, danno informazioni giuste, sono regolari con i contratti e si mostrano comprensivi – magari ricordando anche loro il passato, il Paese che hanno a loro volta abbandonato.

Comunque – afferma Carlo – chi vuole andare a colpo sicuro per trovare un buon lavoro si rivolge direttamente a datori di lavoro tedeschi.

«Per sei mesi mi sono spostato qua e là per la Germania, poi ho deciso di raggiungere la mia ragazza in Alta Baviera. Lei si chiama Vivien, viene da un paesino dell’Ungheria. Aspettiamo un figlio.» Si trova abbastanza bene, non può lamentarsi.

«Qui lavoro come cameriere in una residenza per anziani molto facoltosi. Sia per lo stipendio che per gli orari di lavoro non posso lamentarmi, basti pensare che io e la mia ragazza riusciamo a guadagnare abbastanza da pagare mensilmente affitto e corrente, che sono molto cari (e qui in Alta Baviera i prezzi degli affitti sono seriamente assurdi), internet e assicurazione auto. In più stiamo riuscendo a mettere da parte dei soldi per poterci comprare, più avanti, un appartamento o una casa.»

Vivono, quindi, in una realtà che qui non è possibile immaginare. «Quando abbiamo la possibilità,» racconta Carlo «viaggiamo più che volentieri in Sardegna. La cosa che facciamo, subito dopo aver salutato i nostri cari, è andare a vedere il mare.»
Proprio durante la vacanza Carlo si rende conto di ciò che ha lasciato: le soddisfazioni lavorative hanno avuto un prezzo alto, molto alto. La consapevolezza di aver lasciato famiglia, amici, clima e hobbies dall’altra parte del mare e delle Alpi è dolceamara, densa di nostalgia e di ricordo.
«Quando poi torno qui, a qualche chilometro da Monaco, dove lavoro, mi rendo conto che non riuscirò mai a comprendere i bavaresi di questa regione – malgrado conosca la loro lingua –, quel loro sentirsi “migliori” degli altri (anche di altri tedeschi provenienti da altri Bundesländer). Diciamo che, tra tutte quelle che ho visto, questa è la regione che mi piace meno: è una mentalità che non comprendo. Lungi da me il pensiero che mio figlio cresca in un posto simile.»
Vorrebbe – continua – spostare le radici in un’altra regione tedesca, dove la gente è più tranquilla, dove si viene trattati bene.
«Ho due vie per migliorare la mia situazione professionale. La prima sarebbe dare una seconda chance al tema riabilitazione: ho provveduto già, infatti, a consegnare una copia del mio certificato di laurea per ottenere un Anerkennung (riconoscimento) per lavorare in qualche clinica. La seconda, be’, aprire un locale privato. Questo lo farei per mettere da parte un piccolo capitale che ci garantisca un futuro migliore (il fatto che si guadagni bene non può sussistere da solo).»
Carlo ci tiene comunque a chiarire un concetto fondamentale. «Le mie parole così negative non sono da fraintendere: ho trovato, nel resto della Germania, un posto splendido. Tutti quelli che ho conosciuto si sono rivelati persone gentili.» Inoltre, spiega, lì la burocrazia è efficace, non ha un costo. I vari servizi funzionano bene, insomma. Si parla di ospedali, assicurazioni, uffici di collocamento, e uffici di controllo (che ispezionano controllando che i datori di lavoro non stiano sfruttando o maltrattando i dipendenti). Se si seguono tre regole, si ottiene – prima o poi – quello che si vuole.
Dà poi importanti consigli a chi vuole fare la valigia e partire per la Germania. «Evitate (parlo solo in base alla mia esperienza personale) l’Alta Baviera. Lo stesso stipendio lo prendereste in qualunque Bundesland, pagando inoltre un affitto meno caro. Tutto questo lo dico anche se, egoisticamente parlando, mi farebbe felice se ci fossero ogliastrini in questa zona così da poter dire di avere dei compaesani anche in Germania. Concentratevi sulla lingua quando ancora siete in Italia o appena arrivate qui. Conoscere la lingua significa libertà… libertà di poter fare ciò che volete (nei limiti della legalità, certo) senza dover accettare con rassegnazione il primo posto di lavoro trovato dove un datore di lavoro approfitterà della vostra ignoranza per trattarvi male sfogando i suoi disastri su di voi.»
L’ultimo consiglio, un consiglio che odora di Sardegna e di amore per questa terra che ci vuole tutti figli e tutti innamorati della sua bellezza, è questo: «Qualche giorno prima di partire, prendete la vostra macchina, raggiungete il vostro posto preferito (il mio è Coccorrocci, marina di Gairo) e guardatelo così intensamente da imprimerne una foto nella vostra mente. La sera tornate dai vostri genitori a casa, cenate con loro e parlate con loro affinché si possa affrontare questa distanza, per un periodo di tempo più o meno lungo, con serenità (loro vorrebbero trattenervi ma non lo fanno perché capiscono le vostre ragioni). Quando i genitori vanno a letto raggiungete i vostri amici ancora svegli e parlate loro del vostro spiacevole sentimento di egoismo di abbandonare tutto e tutti e prendetevi da parte loro un paio di sberle per farvi tornare sui binari.»

 

Poi, solo alla fine, c’è un’ultima cosa da fare: «Imprimete tutto nella vostra memoria, la vostra famiglia, i vostri amici e il vostro mondo e portatene i ricordi anche dall’altra parte del pianeta, perché quando non riuscirete più a trovare uno scopo in voi e vedrete i vostri obiettivi come un capriccio della persona che eravate prima del viaggio, quella che voleva partire, allora sarà il ricordo loro che vi darà la forza di non fermarvi mai e di costruire il vostro piccolo impero sardo da qualche parte del mondo.»

 

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