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Il tecnico di laboratorio Ilaria Mulas: da Bari Sardo all’Inghilterra con la passione per l’Anatomia Patologica

Ilaria Mulas, ventinovenne di Bari Sardo, dopo le superiori – terminate nel 2008 – sceglie l’Università optando per il corso di laurea in Tecniche di Laboratorio Biomedico. Si laurea nel 2011. È il suo destino, lo sente scritto nel suo DNA.

«A 9 anni i miei genitori mi regalarono un microscopio perché sapevano che ero affascinata da questo mondo, mio padre ha avuto sempre una propensione verso le materie scientifiche e io sono l’unica ad avere ereditato questa passione.»

Dopo aver capito di voler indirizzare il suo percorso verso l’Anatomia Patologica, a marzo 2012 inizia un training semestrale di formazione e orientamento nel laboratorio di Anatomia Patologica al Santissima Trinità a Cagliari. A maggio arriva anche la proposta di lavoro nel rinomato laboratorio analisi privato (Valdès) . Quest’esperienza – la prima lavorativa in un ambiente sanitario, durata poi cinque anni e mezzo – le permette di crescere professionalmente e personalmente.

«Il mio sogno di partire all’estero è iniziato da quando frequentavo già le superiori ma ancora non avevo chiaro il come e il perché!» racconta l’ogliastrina. «Se non fosse stato per mia madre che mi ha sempre fatto capire l’importanza dello studio, chissà, forse non avrei mai fatto questo percorso!»
Durante gli studi, vorrebbe partire con Erasmus, tuttavia per il suo corso di laurea non è previsto. Inoltre – racconta – non vorrebbe assolutamente pesare sulla famiglia. Non appena veste la corona d’alloro, inoltre, sbuca un altro problema: a Cagliari le specialistiche per il suo campo non esistono. Sassari è troppo lontana e non compatibile con i suoi impegni lavorativi. Per quanto voglia ampliare la sua istruzione, questo non è possibile. Rimane molto forte in lei la voglia di andare all’estero.

«Negli anni ho colmato questa mancanza facendo moltissimi viaggi, non mi importava non conservare soldi ma più di tutto quello che mi restava dentro, quella emozione che mi nasce nel partire e vedere con i miei occhi un posto diverso» racconta Ilaria.

È curiosa, affascinata dalla vita, dai dettagli e dal mondo in cui viviamo nelle sue mille sfaccettature. Ecco perché l’amore per il diverso le ruba il cuore e le toglie il sonno. Ha anche il desiderio di una crescita professionale – magari persino nel campo della ricerca – e sente la chiusura di un’isola che, seppur bellissima, porta a essere statici, fermi.
«Penso che uno debba avere il carattere giusto per mollare tutto e inseguire i sogni

Per quanto il desiderio la spinga, fa le cose con razionalità. Vaglia ogni ipotesi, controlla le informazioni, legge e si documenta. Soprattutto, la preoccupa non conoscere l’inglese. Inoltre, ha un lavoro.

«Io non potevo mollare un posto di lavoro a tempo indeterminato per un qualcosa per cui non ero preparata adeguatamente, quindi mi sono documentata molto sul web per un lungo periodo. Inoltre la mia famiglia ha giocato un ruolo fondamentale perché ho avuto il supporto per tutto il periodo antecedente la partenza.»

Nel 2017 capisce la posizione della sua laurea all’estero e decide di agire con cognizione di causa: perfeziona il suo CV e il suo profilo su Linkedin, e manda qualche candidatura per la specifica professione di Histology Technician. A giugno-luglio riceve molte chiamate da Regno Unito e Svizzera per lavori “locum” (contratti a chiamata con durata non definita ma inizio prima possibile).

«Ricordo che la prima volta che ho risposto alla chiamata proveniente da Londra ho capito e risposto pari a zero, al telefono dicevano che il mio profilo professionale era il migliore che potessero trovare ma alla fine il mio livello di inglese era troppo basso.»  Non si perde d’animo.

«Il giorno di ferragosto, mentre ero in ferie al mare, ho ricevuto una e-mail per un colloquio ufficiale dal NHS (il sistema sanitario inglese) in risposta a una mia candidatura per un posto di lavoro in ospedale.»

Ha pochi giorni per pensarci, inoltre la famiglia mira a farla desistere. Per lei altro non è che una nuova sfida, e lei la accetta con entusiasmo. Fa i biglietti. La lingua, ancora una volta, la blocca. Non supera il colloquio.

A quel punto, si fida dei consigli ricevuti: «Mi è stata consigliata un’APP per avere lezioni di inglese con dei madrelingua tramite Skype e lì ho realizzato che non era impossibile perché con l’insegnante ho iniziato a buttare giù quel muro di timidezza che hanno tutti nel parlare un’altra lingua e dopo qualche lezione facevo almeno delle conversazioni.»

 

Davanti a lei, tre possibili piani: il piano A prevede il superamento di uno dei colloqui per lavori importanti. In questo caso, deve partire, lavorare e imparare l’inglese. Il piano B prevede il famoso contratto “locum”. Anche in questo caso, deve accettare il destino e partire subito – benché questo significhi dover dare le dimissioni a Cagliari senza avere poi certezze. C’è anche, sebbene sia l’ultima spiaggia, un piano C: trovare lavoro come ragazza alla pari, poi – una volta imparata la lingua – cercare seriamente nel suo campo.

In ogni caso, partire è il suo desiderio più grande. Il piano A sfuma, le rimane il B. La mattina del 21 settembre – nonostante sia difficile e stressante – Ilaria comunica la sua decisione: nel suo cuore sa che è la scelta giusta.

«Dopo due settimane dal periodo di preavviso ho ricevuto la proposta per un lavoro “locum” a Dudley, nel WestMidlands del Regno Unito, con inizio il 6 novembre! Ero disposta ad accettare qualsiasi città purché avessi la possibilità di lavorare in ospedale come tecnico di laboratorio di istologia e allo stesso tempo poter imparare l’inglese. Questo periodo è stato un po’ un inferno perché dovevo fare documenti, traduzioni, esami del sangue e dovevo anche studiare, ma ce l’ho fatta… Ed eccomi qui!»

Il primo giorno di lavoro è complicato.
«Ero molto, molto, molto impaurita ma non vedevo l’ora di affrontare questa nuova realtà. Pensavo che fosse stranissimo essere in quel posto sconosciuto, io, una persona qualsiasi proveniente dal piccolo paese di Bari Sardo, contro tutti. In ogni caso mi son sempre ritenuta fortunata per aver avuto questa occasione ma ho sfruttato tutti i mezzi che avevo a disposizione per poterla ottenere, per cui ero anche orgogliosa di me. Fortunatamente tutto lo staff è stato gentilissimo e disponibile, e tutti mi hanno rassicurato sul fatto che non parlassi bene (o niente) inglese e avrei imparato vivendo là.»

La gestione del lavoro inoltre è diversa quindi, sebbene Ilaria abbia già più di cinque anni di esperienza, è spaesata. Vede, attorno a sé, solo sigle inglesi che significano cose importanti, ma lei non può decifrarle, non può comprenderle. Non ancora, almeno.

«Inoltre la zona in cui vivo, detta “Black Country”, è conosciuta per il suo particola accento e dialetto, infatti ho avuto molte difficoltà inizialmente a capire semplici parole ad esempio come “Friday” pronunciata diversamente da come viene insegnato! Per fortuna non ho paura di chiedere, mettermi in gioco e avere voglia di imparare. Dopo due mesi sto ottenendo molti risultati sia con la lingua che per il futuro, e ho in mente grossi progetti.»

I primi giorni, Ilaria li trascorre in hotel, nell’attesa di ricevere la stanza in affitto dall’ospedale stesso per cui lavora. La città non le piace subito, offre poco per lo svago. Inoltre, il sistema di trasporto pubblico non è efficiente. Questo – racconta la bariese – è uno strazio.

«Però fortunatamente vivo dietro l’ospedale (che sta in periferia) e la cosa importante adesso è il lavoro poi quando ho voglia di svagarmi prendo un paio di bus per raggiungere Birmingham, la grande città più vicina.»
Inoltre, altra pecca, Ilaria qui non conosce nessuno. Ha scelto questa città solo per il lavoro.

«Allo stesso tempo mi piace che le persone siano molto gentili e pazienti. Appena avrò padronanza della lingua, il contratto permanente e potrò comprarmi una macchina, mi sposterò in una grande città perché l’Inghilterra è davvero bellissima, ha un suo stile unico, esce proprio fuori dagli schemi, è particolare come piace a me.»

Non è difficile ambientarsi, dice, soprattutto se si è flessibili. Inoltre, deve piacere il fatto di conoscere altre culture, altri stili di vita.

«Adesso lavoro in un ospedale pubblico nel laboratorio di istopatologia e in poche parole la mia mansione è quella di preparare dei vetrini con delle sezioni di tessuto (ottenuto da biopsie/interventi chirurgici) che verranno studiate al microscopio dai patologi per identificare la patologia del paziente.»

La Sardegna manca, manca sempre e tanto. «È stato difficile per me dover lasciare tutto quello che avevo in Sardegna, prima di tutto la famiglia che è la cosa più importante, poi gli amici perché passavo molto tempo con loro vivendo in una città diversa da quella di nascita e ho delle amicizie davvero forti, e infine tutte le cose materiali a cui io mi lego moltissimo. Ho dovuto rinunciare alla mia quotidianità, la mia stanza, la comodità che ero riuscita finalmente ad ottenere con gli anni di lavoro (sto parlando ad esempio dell’acquisto di una macchina) per riiniziare una vita con mezzi pubblici e camminando a piedi (ho dovuto acquistare una borsa con le ruote come quella delle vecchiette per andare a fare la spesa, perché diversamente è molto faticoso arrivare a casa con le buste!).»

Le manca anche il sole e il mare. Tra le sue vecchie passioni cagliaritane, le osservazioni astronomiche all’Osservatorio di Poggio dei Pini, la scuola di Salsa e Bachata e le riunioni di fotografia tramite un’associazione (la fotografia è un’altra sua grande passione). Purtroppo, lì in Inghilterra è difficile immergersi nei suoi passatempi.
«Ma credo che nonostante tutto ne varrà sicuramente la pena, devo solo aspettare qualche mese per imparare a muovermi meglio!» chiarisce, speranzosa.

Quando tornerà, sa già che trascorrerà il tempo con la sua famiglia e con gli amici. Andrà al mare, farà tante foto. Pensa a tutto questo con grande entusiasmo.

«Un consiglio che do sempre è quello di credere in se stessi e nei propri sogni, se si chiede la luna magari è impossibile da ottenere, ma per il resto se uno vuole veramente qualcosa si deve impegnare, deve studiare, deve crescere, deve apprezzare, deve adattarsi, deve anche pretendere però una cosa è fondamentale ci deve provare. Molto spesso veniamo delusi dalle aspettative ma dobbiamo sempre trarre la parte positiva da ogni situazione, come nel mio caso: non ho superato molti colloqui e ogni volta ero delusa ma ogni volta capivo che avevo imparato qualcosa di nuovo che sarebbe stato utile per il prossimo. Se uno vuole crescere, deve sbattere contro alla vita e se cade si deve rialzare sempre. Il momento giusto arriva per tutti, l’importante è crederci fino in fondo. Io ho avuto una vita non troppo facile, in passato ho avuto periodi bui ma li ho sempre superati affrontandoli, quindi sono una persona come tutte le altre ma che ha provato a credere di più in se stessa e quest’anno è stato il momento giusto per mettere in pratica tutto.»

Conclude: «Non credo che tornerò a vivere in Sardegna perché se sono partita è soprattutto perché a livello professionale so che non ci sarà mai nessun miglioramento nel mio campo di lavoro, l’Italia è sempre indietro da quel punto di vista. Siccome il lavoro è una parte fondamentale nella vita dell’uomo e non deve essere una forzatura, io ho scelto quello che è una mia passione, per cui sono felice quando posso dare il meglio di me per aiutare le persone. In Italia si sa qual è la situazione e son sicura che resterà la stessa per molto tempo. Come avevo pianificato, qui sto già avendo i risultati giusti e avere preso la laurea per quello che amo è una gratificazione, non come si pensa spesso che sia solo un foglio di carta.»

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