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La Sardegna descritta da D. H. Lawrence: il resoconto di viaggio “Mare e Sardegna”

David Herbert Lawrence, scrittore e poeta inglese, nel gennaio del 1921, dopo innumerevoli viaggi in tutto il mondo, approda con la moglie Frieda (che lui chiama Ape Regina) in Sardegna. Il viaggio nell’isola dura meno di dieci giorni: i due visitano Cagliari, Mandas, Sorgono e Nuoro. Da quest’avventura nasce “Mare e Sardegna”, una sorta di diario di viaggio.

Inizialmente pubblicato a puntate per una rivista americana, poi venne edito in volume a New York da Thomas Seltzer (illustrazioni di Jan Juta). Quel che viene fuori è una delle più singolari descrizioni del Novecento della nostra isola, un’isola che era unica, affascinante e speciale nel suo essere al di fuori da tempo e spazio.

Il viaggio di David e Frieda avviene nel cuore della Sardegna, non solo lungo le famose coste. Si cibano dell’interno, di scenari che non venivano valorizzati, ricordati, inneggiati ma che sono forse più preziosi nel loro essere un po’ meno conosciuti. Lawrence coglie certi colori, certe atmosfere e certi elementi che ancora nessuno aveva mai descritto.

«La Sardegna è un’altra cosa: più ampia, molto più consueta, nient’affatto irregolare, ma che si perde in lontananza. Catene di colline simili alla brughiera, irrilevanti, che corrono via, forse verso un gruppetto di cime drammatiche a sud-ovest. Questo dà una sensazione di spazio che tanto manca in Italia. Incantevole spazio intorno a un individuo, e distanze da viaggiare, nulla di finito, niente di definitivo. È come la libertà stessa…»

Il viaggio parte da Cagliari. La città non era quella che conosciamo noi, vantava solo 70.000 abitanti, però aveva già movimento in abbondanza, folla, negozi, ricchi mercati.

Tratto da “Mare e Sardegna” di D. H. Lawrence:

«È giorno di mercato. Svoltiamo in Largo Carlo Felice, che è l’altra ampia breccia di Cagliari, un viale vasto e cortissimo che sembra la fine di qualcosa. Cagliari è così: tutta frammenti e salti. E lungo il marciapiede vi sono molte bancarelle di pettini e bottoni da colletto, specchi da due soldi, fazzoletti, stoffe di cotone scadente, fodere per materassi, lucido da scarpe, povere terraglie… […] Ci accompagnamo quindi alla signora e ci troviamo nel vasto mercato coperto, splendente d’uova: uova nei grandi panieri tondi di paglia dorata, uova a pile, a montagne, a mucchi, una Sierra Nevada di uova, splendenti di un bianco caldo. Come splendono! Non me ne ero mai accorto prima. diffondono nell’aria un fulgore perlaceo, quasi un calore. Un tepore oro-perlaceo, pare. Miriadi d’uova, splendenti viali d’uova.»

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