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Sacchetti dell’ortofrutta a pagamento? Facciamo chiarezza

Dal primo gennaio 2018 è entrata in vigore la legge di conversione del decreto legge 2017 n. 123, Disposizioni urgenti per la crescita economica del mezzogiorno, approvata lo scorso agosto.

Che cosa dice l’articolo 9-bis di questa legge? Semplice, che i sacchetti leggeri e ultraleggeri utilizzati negli esercizi commerciali per imbustare prodotti freschi ( quali ad esempio frutta o verdura ) siano biodegradabili, e che il loro costo – il quale varia da 1 a 5 centesimi – sia a carico del consumatore. Per i negozianti che non applicheranno la nuova norma, la legge prevede multe che vanno da 2.500 a 25.000 euro, anche se le sanzioni possono arrivare fino ai 100.000 euro in caso di «ingenti quantitativi» di buste fuorilegge.

Una novità, quest’ultima, che ha generato numerose critiche  tra i cittadini, che con la “rivolta del sacchetto” si sono recati al supermercato comprando gli alimenti singolarmente, senza i sacchetti, e ponendo su ognuno di questi (noci comprese) un’etichetta indicante prezzo e peso di ogni singolo prodotto. Una rivolta forse inutile e  costosa, visto che il costo del biodegradabile viene comunque applicato alla cassa per ogni etichetta riguardante un prodotto alimentare fresco.

Per Legambiente, non è  corretto parlare di tale innovazione come di un caro spesa: «L’innovazione ha un prezzo – ha dichiarato il direttore generale Stefano Cianfani – ed è giusto che i bioshopper siano a pagamento, purché sia garantito un costo equo che si dovrebbe aggirare intorno ai 2-3 centesimi a busta. Così come è giusto prevedere multe salate per i commercianti che non rispettano la vigente normativa».

I normali sacchetti leggeri, sono infatti tra i principali responsabili dell’inquinamento di tutti i mari, anche quindi delle bellissime spiagge sarde, più volte violate dalla contaminazione umana. Una soluzione che andrà quindi a sopperire all’enorme problema delle microplastiche che invadono acque, boschi e campagne, che peserà sulle tasche del consumatore.

Se si pensa però che è proprio il consumatore il primo a non rispettare l’ambiente, a non considerare tutto ciò che lo circonda come patrimonio comune, a descrivere in giro le bellezze naturali della Sardegna mentre abbandona la cicca di una sigaretta per terra, si può anche azzardare che questo costo sia la pena minore per i danni che ogni giorno vengono recati alla Natura.

C’è inoltre da specificare il fatto che non si parla di cifre esorbitanti: la stima di Adoc – Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori – prevede un aggravio fra i “18 e i 24 euro l’anno per circa 600 sacchetti consumati a famiglia“, mentre invece Assobioplastiche – Associazione Italiana delle bioplastiche e dei materiali biodegradabili e compostabili – stima un prezzo ad personam, al massimo fra “1,50 e 4,50 euro l’anno a consumatore“.

Una cifra esigua quindi, rispetto alla recente stima delle cifre spese in Ogliastra in slot machine – circa 25 milioni di euro, per una media pro capite di 430 euro – o le imposte sulla birra, in Italia tra le più alte d’Europa – pari a 37 centesimi per litro – oppure, ancora peggiori, rispetto alle accise sui carburanti – per la benzina l’imposta è di 728,40 euro per mille litri, pari a 0,7284 euro al litro; l’accisa sul gasolio è invece di 617,40 euro per mille litri (0,6174 €/l) mentre l’accisa sul GPL è di 267,77 euro per mille litri (0,26777 €/l).

Insomma, se per una volta l’Italia si è dimostrata un esempio virtuoso in Europa per la riduzione dell’ uso delle buste di plastica, poichè primo paese ad aver approvato nel 2011 la legge contro gli shopper non compostabili, l’applicazione di questa nuova legge non piace neanche a molti sardi, che dovrebbero avere a cuore l’ambiente, la sua salvaguardia, e la protezione del patrimonio naturalistico.

Una cosa è certa: anche il tempo è denaro, e i minuti sprecati ad etichettare ogni singola noce per protesta forse potrebbero fruttare qualche centinaia di euro se impiegati a compiere azioni utili.

 

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