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«Ci sono storie che attendono di essere raccontate». Intervista alla scrittrice sarda Carmen Salis

 

Carmen Salis, scrittrice cagliaritana cinquantaquattrenne, si racconta. Si definisce affamata di immagini, di pensieri, e vorrebbe essere eterna, tanto ama la vita.  Nell’ultimo libro racconta di Gianna, amata sorella e donna speciale, affetta da bipolarismo.

È un libro che racconta di un destino infausto, un destino che precluse a Gianna la possibilità di vedere la luce in ogni nuovo, splendente giorno. Con un’appassionata emotività condita da chiarezza e, talvolta, crudezza – un estremo realismo, il suo, necessario per descrivere situazioni incomprensibili per chi non ha familiarità con questo tipo di problemi – Carmen Salis racconta di reparti psichiatrici, di urla strazianti, di voglia di normalità. Racconta dell’affetto per quella sorella che non poteva trovare un posto nel mondo. Racconta di dolore, certo, ma anche di amore, di passione. Racconta del suo essere speciale.

Era affetta da bipolarismo, Gianna, e questa fu la sua maledizione.  Un racconto accorato che offre un punto di vista, quello dei familiari degli individui affetti da problemi di tipo psichiatrico, sovente trascurato. Ci dona un mondo intero, con le sue parole.

Carmen, innanzitutto complimenti. La sua è una storia che odora di amore, di angoscia, di morte, sì, ma anche di vita. Sua sorella Gianna è descritta magistralmente, e i problemi collegati alla sua patologia appaiono dolorosamente chiari. È stato difficile riportare su carta questo suo periodo buio?

Sì. Lo è stato. Scrivere di ogni istante che mi ha procurato dolore ha significato ripercorrerlo; è stato come camminare a piedi scalzi su lame affilate, ma era necessario, avevo bisogno di restituire a Gianna la sua dignità e, contemporaneamente, era importante raccontare di un disagio che ancora oggi è presente in tantissime famiglie.

Raccontare questa vicenda era un pensiero che aveva sin dall’inizio o l’ha deciso in seguito?

La prima pagina di questo libro l’ho scritta un mese dopo la sua morte. L’ultima, dopo vent’anni.

Come nasce la passione per la scrittura? La Carmen Salis scriveva?

Ero una bambina riservata, timida e triste. La scrittura mi ha dato sempre modo di consolarmi, di esternare, anche solo su carta, le mie emozioni. Tutto ciò che non mi sembrava di essere agli occhi del mondo, lo ritrovavo quando rileggevo le mie cose.

Tramite le sue parole, sembra quasi di conoscere Gianna, di averla dinanzi mentre canta, prega, prepara le meringhe o gioca con i suoi figli. Cosa prova al pensiero di aver donato ai lettori il privilegio di conoscere una persona speciale come Gianna?

Provo una grande gioia. Perché vive ancora, e non solo nel cuore di chi l’ha amata, ma anche nel cuore di tanti sconosciuti.

C’è un insegnamento che darebbe a chi vive a stretto contatto con questa patologia, come ha fatto lei in passato? Cosa consiglierebbe ai familiari di chi, affetto da bipolarismo, si trova nella stessa situazione di Gianna?

Sono situazioni difficili e complesse da vivere. La malattia mentale, come altre patologie che negano l’uso della ragione, è ingestibile se non si è supportati in qualche modo. Purtroppo devo dire che ancora oggi le istituzioni non garantiscono l’assistenza necessaria. Non ci sono i soldi, i mezzi, il personale e tante altre cose. L’unico consiglio che posso dare è di non nascondersi e di ricordarsi che il bipolare è una persona innanzitutto, che seguita con la terapia giusta può condurre una vita normalissima.

Che rapporto ha con i lettori?

Bello, fantastico. Loro sono l’evoluzione del mio scrivere. Uno scrittore senza i lettori è una macchina senza motore.

Cosa ha provato quando ha visto l’opera pubblicata?  

Ho provato gioia, e forse paura. Come quando non vedi da tanto qualcuno che ami e poi decidi di incontrarlo di nuovo.

Ha qualche altro progetto in corso?

Sì. Ho sempre una storia che aspetta di essere scritta. Per fortuna. Quando non avrò più storie da raccontare significherà che avrò smesso di essere curiosa.

Che libro si trova nel suo comodino, in attesa di essere letto?

Donne che Corrono coi Lupi, di Clarissa PinkolaEstés; è sul mio comodino da anni, non riesco a finirlo perché mi piace così tanto che dopo un centinaio di pagine rincomincio a leggerlo dall’inizio.

Cosa direbbe a sua sorella in questo momento, se potesse?

Le chiederei scusa. Scusa per non aver capito il suo malessere sin dall’inizio, scusa per aver pensato che fosse pigra, egoista e viziata. Forse le chiederei anche scusa per essermi occupata troppo di lei, per essermi presa troppo spazio nella sua vita, troppo tempo del suo.

Perché ha deciso di raccontare della sua famiglia, della sua casa, mettendo a nudo limiti e difficoltà?

Perché il mio passato, per quanto doloroso, fa parte di me, di quella persona che sono oggi. La mia casa, per quanto fosse piccola e umida, mi ha permesso di crescere con un tetto sulla testa. La mia famiglia, per quanto fosse umile e semplice, mi ha dato tutto quello che era in grado di darmi. Perché la malattia di mia sorella è ancora la malattia di tanti, e parlarne servirà a farla conoscere e magari a farla accettare.

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