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Fabio Collari, unico sardo selezionato per partecipare al Premio Nazionale delle Arti di Urbino

Il 25enne Fabio Collari è stato l’unico sardo a essere selezionato – tra ben 50 ragazzi, tutti presi dalle varie Accademie d’Italia – per partecipare al Premio Nazionale delle Arti di Urbino. Purtroppo, alcune vicissitudini hanno impedito la sua presenza lì.

Ma facciamo un passo indietro. Fabio nasce a Nuoro nel novembre 1991. Appassionato di scultura e fotografia, frequenta l’istituto d’Arte Leonardo da Vinci a Lanusei. Nel 2014 il salto verso nuove vette: approda all’Accademia di Belle Arti “Mario Sironi” di Sassari, più precisamente frequenta il corso di scultura. Vince il concorso fotografico “Un sol mar y la palabra” indetto dall’Ersu l’anno scorso.  Partecipa, inoltre, a diverse mostre a Sassari, tra le quali la mostra in onore di De Andrè e la mostra Menotrentuno che si tiene al Museo d’Arte contemporanea Masedu.

Le sue opere sono perlopiù di denuncia sociale o comunque a tema politico. Sempre alla ricerca di nuovi contest fotografici e non, si dice molto soddisfatto di questo grande traguardo.

La descrizione dell’opera:

«L’opera presentata e scelta in occasione della mostra per il Premio Nazionale delle Arti di Urbino del 2016 (XII edizione) è realizzata interamente in ferro, tranne i pezzi di “corpi” presenti all’interno degli schermi televisivi, che sono stati realizzati in terracotta. Presenta ed è composta da cinque basamenti in ferro che, alla loro sommità, sostengono cinque schermi di cui quattro pieni di Pezzi di Donna (rappresentati da calchi in terracotta di bambole) ed uno vuoto. I cinque schermi sono disposti in semicerchio (nella foto, in questo caso, ad angolo)e sono posti di fronte ad una seduta realizzata, anch’essa, interamente in ferro. Lavoro interattivo e di denuncia, poiché essa richiama all’attenzione la strumentalizzazione tramite l’uso e il controllo dei mass media, della figura femminile nelle società (capitaliste) odierne (per questo l’uso della bambola, simbolo canonico di bellezza imposta alle donne). In secondo luogo rappresenta, tramite l’interazione del pubblico stesso, la violenza virtuale e l’imposizione di canoni, creando persone, pubblico non pensante; incapace di volere e decidere autonomamente diventando massa asservita al potere economico che li controlla».

«L’interazione e il coinvolgimento dello spettatore avviene tramite l’uso della seduta, poiché, essa, posta d’innanzi a tutti gli schermi, riempie, nella sua totalità, lo spazio visivo di chi osserva e, rispettando l’altezza del punto di vista di chi gli è seduto davanti, permette di poterla visualizzare nella sua completezza e integrità. A questo punto si innesca l’obiettivo dell’Opera stessa, cioè, l’osservatore, guardando tutti gli “schermi” nota che all’interno degli stessi, sono presenti vari e differenti pezzi (simbolici) di corpi di Donne (Braccia, Bacini, Torsi e Gambe), tranne che nello schermo centrale che, come da foto, rimane vuoto. Qui si crea il gioco/denuncia poiché, chi guarda, rispetta la canonica figura di osservatore ma, al contempo, ne diventa un possibile soggetto/vittima poiché, gli schermi gli propongono un canone di bellezza e un tipo di “merce” a cui egli è soggetto ad ubbidire e “comprare/usare” (in questo sta il fatto di Strumentalizzare). Lo schermo centrale, invece, ricopre il ruolo più importante perché, essendo vuoto, avrebbe dovuto ospitare la testa della donna ma, in questo caso, è l’osservatore stesso che “mette” la sua testa in questo gioco perverso e non umano. L’interazione completa la si ha solamente quando altro pubblico, posto dietro l’osservatore in stato di contemplazione, vede che, la persona seduta, si inserisce e diventa parte integrante dello strumento/messaggio che vuole trasmettere l’Opera in sé».

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