Rimasto orfano di entrambi i genitori, non si perse d’animo e cominciò a lavorare come servo alle dipendenze del suocero della sorella, un ricco possidente del paese. Scelse di lavorare gratis, solo con vitto e alloggio, ma chiese esplicitamente di alloggiare in una stanzetta. Dopo la morte dell’uomo il giovane futuro Fra Nicola lavorò nei campi del cognato alle medesime condizioni. A quattordici anni ricevette la prima comunione e lasciò la scuola dopo aver frequentato solo i primi anni delle elementari per dedicarsi al lavoro nei campi.
A 28 anni fu costretto a letto per 45 giorni per un reumatismo articolare e fu proprio durante questo periodo che fece voto alla Madonna di digiunare tutti i sabati, cosa che fece per il resto della sua vita. La sua vocazione crebbe sempre di più e, l’anno successivo, si recò al convento dei Cappuccini di Buoncammino a Cagliari chiedendo di essere accolto come fratello laico. Inizialmente il commissario provinciale dell’ordine volle verificare la sincerità delle sue intenzioni ma ben presto si accorse di quanto Giovanni Medda fosse speciale e così fu ammesso al Noviziato.
Quella di Fra Nicola fu una vita dedita agli ultimi e ai diseredati. Lui stesso visse povero tra i poveri. Frate questuante, girava per le vie del centro storico tutti i giorni e con qualsiasi condizione meteorologica. Sempre a testa bassa, camminava indossando un saio stracciato e dei sandali rozzi per Villanova, Castello e Stampace, dove bussava alle porte delle case per chiedere umilmente l’elemosina: allungava la mano e ripeteva sempre “A Santu Franciscu” (per San Francesco). Poche, pochissime parole. Nicola era il “frate del silenzio“, parlava solo per dare la benedizione ed esortare alla preghiera.
La maggioranza delle persone lo amava, ma c’era anche chi lo derideva e lo insultava. Lui, però, ebbe gesti di pietà e tenerezza anche per loro. La sua fama crebbe talmente tanto che, ancor prima di arrivare nelle case, la gente che lo vedeva apriva la porta, gli andava incontro o mandava i propri bambini per dargli qualcosa e ricevere anche una semplice carezza.
Poi ci furono la guerra e i bombardamenti, con l’evacuazione delle persone. In città rimasero solo i più poveri e nel convento di Buoncammino solo quattro frati, tra cui Fra Nicola, che si dedicò ad assistere coloro che scappavano dalle bombe. La guerra non lo fece desistere dal continuare la questua, tanto che camminava tutti i giorni per le vie cittadine in mezzo alle macerie.
Ancora oggi ci sono persone che hanno conosciuto Fra Nicola e raccontano aneddoti su di lui. Gabriella era una bambina nei primi anni ’50 e viveva in via San Giovanni. Racconta di averlo visto spesso vagabondare in quella zona: «Aprivamo le nostre porte per dargli qualche monetina. Spesso mi dava delle caramelle che a sua volte gli venivano regalate da una barista del quartiere e noi bambini eravamo felicissimi». Poi, un giorno, il “miracolo”: «Mia sorellina di 7 anni stava giocando vicino alla porta di casa e cadde rovinosamente. Mia madre si disperò e in quel momento lui passò accanto e, mentre mia sorella piangeva dal dolore, lui l’accarezzo e disse a mia madre di stare tranquilla. Mia sorellina smise subito di piangere, come se non fosse successo nulla. Mia mamma disse che era una grazia e gli baciò il saio».
Smise di praticare la questua solo nel 1958, poiché le sue condizioni di salute erano sempre più precarie per via di un’ernia strozzata. Stremato, il 1° giugno si rivolse al Padre Guardiano dicendogli semplicemente: «Non ce la faccio più». Fu ricoverato in una clinica dove venne operato ma, non essendoci ormai più nulla da fare, fu rimandato in convento dove morì a mezzanotte e un quarto dell’8 giugno circondato dai confratelli.