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Il lungo viaggio delle badanti rumene verso l’Ogliastra. La testimonianza di Lina

Sempre più spesso le famiglie ogliastrine si rivolgono ad assistenti domestiche rumene per la cura dei propri cari, soprattutto anziani. Il fenomeno è in continua crescita e in tanti si chiedono cosa spinga queste donne ad abbandonare la propria terra e la propria famiglia.

La storia di Lina nella sua semplicità ne racchiude tante altre: quelle delle sue colleghe badanti che ogni anno raggiungono l’Ogliastra e che sempre più spesso entrano nelle nostre case diventando parte integrante della famiglia.  Ma cosa porta queste donne a lasciare la propria famiglia? Come arrivano in Italia? Cosa provano arrivando qui?

Lina ha 62 anni, “un’età di tutto rispetto”, così dice. Perché in Romania dopo i sessanta ti senti già vecchio e i tuoi figli a 30 anni hanno a loro volta dei figli già grandi, visto che ci sposa molto prima. Non è strano infatti che osservando le usanze nostrane si senta spesso stranita.

Nata e cresciuta a Buzau, Lina viveva con la sua famiglia a Ramnicu Sarat una cittadina della Romania.  Avendo perso il marito per un male incurabile dopo pochi anni di matrimonio ha avuto un solo figlio che a sua volta le ha donato due nipoti. “Le sue gioie” delle quali  porta con sé alcune foto con la consapevolezza che li ritroverà completamente diversi al proprio ritorno.

“Cinque anni fa ho deciso di partire. Non avevo mai messo piede fuori dalla Romania e mi son trovata a dover prendere una decisione così importante in sole due settimane – racconta – Facevo l’infermiera pediatrica, con un diploma e delle specializzazioni. La recessione aveva messo in ginocchio la nazione e lo stipendio si era dimezzato. Il Lei aveva perso il proprio valore. Contro il volere di mio figlio ho preparato le valigie. Avevamo dei debiti e avevo chiesto tre prestiti in tre banche diverse. Rischiavo di perdere la casa. L’ho fatto anche per lui e per i miei nipoti, solo questo mi ha dato la forza”

Una scelta obbligata che rappresentava un salto nel buio. “Non parlavo una parola di italiano, tanto che una volta arrivata a Nuoro non avevo idea di come rispondere al mio datore di lavoro, né di come chiedere a che ora arrivasse il pullman verso Tortolì. La paura mi bloccava e iniziai a star male, tanto che mi capitava spesso di svenire”

Il viaggio per arrivare fin qui è estenuante e dura tre giorni perché Lina, non avendo mai preso un aereo, ha paura di volare. “Ogni volta si tratta di un viaggio senza fine. Il viaggio inizia di sera, verso le dieci, in modo che il pullman non sia rallentato dal traffico.  Dopo sette ore arriva in un’altra grande città, dove si prende un altro pullman che attraversa la Romania fino alla frontiera con l’Ungheria. Tra controlli e perquisizioni, dopo un giorno di viaggi su mezzi senza bagni e con pochissime soste si arriva a Padova e da lì si riprende il viaggio per Livorno. Da lì si parte per Olbia e poi si prende il pullman per Nuoro. Da Nuoro l’ultima ora di viaggio verso l’Ogliastra”

E dopo un viaggio della speranza lungo e faticoso e qualche ora di riposo si inizia: nuovi equilibri e nuova vita, nuovi orari e nuove abitudini. L’obiettivo però è sempre lo stesso: mandare tutti i soldi a casa. Contrariamente a quanto si pensa, ossia che i soldi guadagnati in Italia permettano alle famiglie in Romania di vivere da pascià, ciò che resta, tolte le bollette e i debiti è molto poco “Tengo per me pochi soldi per le ricariche telefoniche e per le urgenze, tutto il resto va in Romania. Serve per pagare i debiti e dare qualcosa a mio figlio, affinché ai miei nipoti non manchi niente e possano studiare”.

Come racconta Lina, tutte le sue colleghe condividono esperienze simili. C’è chi parte per poter pagare le spese di casa, chi per poter garantire le cure a un parente e tutte loro, o quasi, condividono la sensazione di essere guardate con sospetto e pregiudizi.

“Siamo diversi in tante cose, trovo strane alcune vostre abitudini e modi di fare. La lingua è molto spesso uno scoglio e alcune mie colleghe non sempre trovano famiglie che le trattano come esseri umani. Io sono stata fortunata perché qui a Tortolì ho trovato una seconda famiglia che non mi fa mancare affetto e vicinanza e un’anziana signora meravigliosa da accudire. Una famiglia che riesce a rendere l’attesa del ricongiungimento con i miei un po’ più sopportabile. Gli sono davvero grata e li porterò nel cuore, anche quando finalmente tornerò dai miei nipoti adorati per non lasciarli mai più!”

 

 

 

 

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