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Lavoro minorile organizzato. La fotoreporter Elisabetta Loi racconta il suo viaggio in Sud America

Reduce da due settimane trascorse in Sud America, la fotoreporter ogliastrina Elisabetta Loi  racconta la sua esperienza a Lima, Perù. Insieme al compagno Sergio Melis, fotoreporter di Iglesias, ha intrapreso questo viaggio a inizio dicembre 2015, con lo scopo di racchiudere le centinaia di scatti realizzati lungo le favelas della città in un reportage che raccontasse quello che è il lavoro minorile organizzato nella capitale peruviana.

Come è nata l’idea di documentare la storia di questi giovanissimi lavoratori?

Io e Sergio siamo molto curiosi e sempre alla ricerca di storie da raccontare attraverso i reportage. Grazie ad una chiacchierata con una conoscente, che ci parlò di una sua amica che lavorava in Perù a contatto con i bambini lavoratori, abbiamo iniziato ad informarci e presto il nostro obiettivo è diventato quello di documentare ciò che fanno i “bambini lavoratori organizzati”.

Di cosa si tratta?

Si tratta di bimbi che guidano e gestiscono in Perù dei movimenti di bambini e adolescenti lavoratori, nati nel 1976. Questi sono non dei giovani, ma dei giovanissimi ( vanno infatti dai 6 agli 15 anni ) che hanno preso consapevolezza dei loro diritti, sia di bambini sia di lavoratori, e che per svolgere un lavoro degno, occupandosi di attività proporzionate a età e fisico di ognuno di loro, con una paga giusta, si sono organizzati in movimenti. Io e Sergio siamo andati a cercarli a Lima, e abbiamo scoperto inoltre che, attraverso il collegio che frequentano e grazie all’Istituto Ifejant, diversi di loro hanno potuto accedere al progetto dei Prominats, ovvero un programma di microcredito, ricevendo così una piccola somma di denaro da investire in un progetto lavorativo. Nel nostro caso abbiamo seguito un gruppo di bambini che lavorano in un laboratorio di pastelleria.

Com’è la giornata tipo dei bambini che avete incontrato ?

I bambini la mattina frequentano il collegio. Seguono l’attività scolastica classica, ma durante determinate giornate, coloro che hanno accettato il contributo dato attraverso il microcredito, frequentano un laboratorio di pastelleria.  L’attività è presenziata da un professore che insegna ai bambini un nuovo mestiere, partendo dalle basilari regole di igiene fino alla sperimentazione e cottura di diversi tipi di prodotti. Dopo la mattinata di lavoro, i piccoli vendono i loro prodotti.  Terminata la giornata di lavoro/scuola, tornano a casa, dove aiutano nelle mansioni quotidiane la propria famiglia. Il laboratorio si conclude con l’anno scolastico, quando si fa una riunione dove si tirano le somme: vengono stilate una serie di domande e risposte in merito a quelle che sono state le difficoltà, i pregi e i difetti dell’attività, e infine si dividono i soldi. A detta dei bambini che abbiamo incontrato, questo lavoro è un modo utile per imparare a organizzarsi, a relazionarsi con gli altri e, non da meno, ad apprendere le basi della matematica attraverso dosaggi, porzioni e poi attraverso le vendite.

Lei parla di lavoro minorile, non di sfruttamento.

Sì perché nel caso di questi bambini non si parla di sfruttamento. Sono organizzati in movimenti, sono consapevoli dei loro diritti e sanno cosa gli spetta.  È evidente comunque che ci siano casi di sfruttamento a Lima: abbiamo incontrato bambini non organizzati, ignari di questi movimenti ma soprattutto ignari dei propri diritti. Una differenza palese tra questi ultimi e i bambini organizzati è la pulizia: mentre i primi vivono per strada, inventandosi continuamente nuovi lavori, i bambini del collegio, in particolare durante il laboratorio, erano molto più ordinati, avvolti nei loro piccoli grembiuli bianchi e con capelli e mani coperti da cuffiette e guanti. A noi è capitato di incontrare 3 di questi bimbi non organizzati, che si occupavano di riparare le buche presenti lungo la strada: con le mani o con qualche arnese, riempivano dei secchi di terra che poi svuotavano sulla fossa e pressavano con i piedi. Gli automobilisti davano loro delle monetine per il lavoro svolto: se le strade sono dissestate, rischiano di danneggiare l’auto!

Com’è la città da un punto di vista sociale?

Lima è una città ricca di contrasti, con disuguaglianze sociali notevoli: ci sono persone che non hanno i soldi per comprarsi il pranzo, altre che spendono 20mila euro per una festa di compleanno. Io e Sergio abbiamo scelto di alloggiare in un semplice quartiere sudamericano, in modo non solo di vivere appieno la cultura locale, ma anche perché sarebbe stata un’incoerenza trascorrere questa esperienza in una sistemazione più lussuosa, mentre documentavamo situazioni di povertà. Precisamente noi abbiamo documentato l’attività dei bambini delle favelas di Villa Maria del Trionfo, distretto della capitale situato in una collina desertica, occupato da migranti provenienti dalle varie province. Lì non vi è elettricità pubblica e le condizioni igieniche sono disastrose. Caratteristica particolare della città è anche il clima: non è “unico”, uguale in tutte le zone, ma varia in base alle zone. E la coincidenza ancora più strana è il fatto che, nelle favelas, spesso vi è un’umidità del 90 %, che genera una nebbia perenne che ti circonda mentre cammini affondando i piedi nel fango. Il destino in mezzo quel cielo grigio è sembrato ancora più crudele.

001_E1_2473Qual è la situazione familiare di questi bambini?

Provengono tutti da famiglie numerose. Spesso si trovano in situazioni di abbandono, vivono solo con la mamma che lavora saltuariamente, oppure delle volte si tratta di famiglie allargate, con genitori che hanno figli, che hanno a loro volta altri figli. Una cosa comune, molto dolce che ho notato, è che quasi tutti i bambini che abbiamo conosciuto, da grandi vorrebbero diventare poliziotti o medici: vogliono “aiutare il prossimo”, e pensano giustamente che un lavoro simile possa soddisfare questo loro desiderio.

Che cos’è la felicità per un bambino peruviano?

La felicità l’abbiamo vista in tante sfaccettature: dai piccoli doni da noi portati, che racchiudevano materiale scolastico, ai giochi regalati dalla scuola, alle risposte date alle nostre domande. L’abbiamo vista attraverso minuscoli particolari che ormai noi europei ignoriamo, ma che ci fanno capire molte cose: per fare un esempio, i bambini non hanno avuto la smania di scartare i regali che gli erano stati donati, perché dovevano tornare a casa e sistemarli giustamente sotto l’albero! Cosa particolare è inoltre il fatto che, per loro, è fondamentale la famiglia. Senza battere ciglio, quando gli abbiamo chiesto cosa fosse la cosa secondo loro più importante al mondo, tutti (intervistati singolarmente, quindi senza aver ascoltato le risposte altrui) hanno risposto una sola cosa: la famiglia. Felicità per quei bambini significa anche “solo” avere una famiglia unita, dove fratelli e sorelle si aiutano tra loro e aiutano gli altri. Sono rientrata con una visione differente di ciò che mi circonda.

Il fotoreporter Sergio Melis, in merito non solo all’esperienza appena trascorsa in Sud America, ma anche a quanto di immateriale e spirituale questo viaggio ha trasmesso alla sua persona, commenta”seguendo da vicino i bambini lavoratori organizzati, mi sono subito reso conto che, prima di ogni altra cosa, questo percorso è per loro una formazione, una base fondamentale per quello che sarà il loro futuro, al di là del progetto che svolgono durante questi anni. A fine laboratorio gestiscono con maturità i loro guadagni e ne organizzano un nuovo reinvestimento. L’impatto con l’atmosfera surreale delle favelas – aggiunge – ti rimane impresso: da questa esperienza mi porto dietro gli sguardi dei bambini, spesso tristi per la consapevolezza della loro condizione di vita e la loro maturità precoce nel vedere il lavoro come sostentamento. Mi hanno sorpreso apprezzando le piccole cose della vita e quando gli si illuminavano gli occhi parlando della loro famiglia, cosa a cui tengono di più. Una volta conquistata la loro fiducia, entri a far parte della loro comunità, e non ti fanno sentire lontano dal mondo in cui vivono.”