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Napoli come Torino: lo “scherzo” finito male. Il parere dello psicologo.

Lo “scherzo” finito male a Napoli, che costringerà la vittima a diversi interventi di ricostruzione del colon e a convivere per anni con una colostomia, e il fattaccio a Torino, una settimana dopo, dove una goliardata tra amici è costata un intervento di ricostruzione dell’intestino retto al malcapitato, è un fenomeno che presenta delle caratteristiche su cui vale la pena riflettere.

Partiamo dal fatto che gli scherzi non sono tutti uguali, nel senso che le dinamiche sottostanti possono differire sebbene il fenomeno presenti delle similitudini. Ho ben chiaro il ricordo di una cattedra posta con meticolosità in bilico sul pianale: agguato anonimo all’insegnante che aveva l’abitudine di spingerla in avanti sedendosi. Dopo innumerevoli tentativi, un giorno quella cattedra cadde rovinosamente a terra, proiettandosi pericolosamente verso i compagni ai primi banchi, tutto accompagnato dal fragore delle risate. Dietro questo gesto c’era la sfida verso un’autorità non accettata, il ridere della reazione dell’insegnante a un fatto premeditato che sfuggiva al suo controllo.
Ma in altre circostanze il significato dello scherzo cambia: ci si scambia scherzi all’interno di un gruppo di amici, scherzi reciproci dietro il quale sta il divertimento di vedere l’altro intrappolato nel letto col nastro adesivo, rincarando la dose sapendo che domani potrebbe capitare a noi. Questo gioco comporta una reciprocità, ed è un modo che certi ragazzi hanno di ridere insieme, di fare gruppo.

Poi ci sono gli scherzi che umiliano, fatti per mettere in ridicolo chi viene percepito diverso, della cui diversità ci si prende gioco, distanziandosene, con una mortificazione ripetuta e sistematica. Se chiedeste a questi adolescenti perché lo fanno, al di là dell’etichetta di scherzo, vi risponderebbero “perché fa ridere”, e se chiedeste perché quello stesso scherzo non lo fanno a un altro, vi risponderebbero semplicemente “perché no” (non aspettatevi quindi una grande introspezione dagli autori di questi scherzi). In realtà perché vedere un loro amico, magari stimato, mortificato in quel modo darebbe dispiacere, non farebbe ridere così tanto, e comunque non sarebbe la persona giusta per quel modo di scherzare. Va da sé che lo scherzo diventa più pesante laddove diviene strumento per esorcizzare ciò che è diverso, e più diventa pesante più la previsione delle conseguenze sfugge, si confonde e svanisce nell’ilarità del momento. Quando però lo scherzo prende una direzione inaspettata per tutti, l’ilarità scompare lasciando spazio a una terribile, devastante consapevolezza.

Ciò che differenzia, in questo caso, un adolescente da un altro è la percezione del danno previsto, il timore nell’osare tanto, e qualcosa che ha a che vedere con l’empatia e il rispetto profondo dell’altro. Questo consente a qualcuno di divertirsi lanciando un petardo dentro un pulman pieno, e tanti altri a ritenere scellerato un comportamento del genere. I responsabili? Assenza di regole: cercate all’interno della famiglia.

 

 

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