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Seeds of Hope. Quattro ragazzi ogliastrini in Turchia.

 

 

Semi di speranza. Questo il nome del progetto che ha coinvolto sette ragazzi sardi: Giulia Accardo, Simone Cardia, Eleonora Lai, Gabriele Lorrai, Claudia Leone, Ilaria Porru e Fabio Urru (dei quali quattro ogliastrini) e altrettanti ragazzi polacchi, maltesi, rumeni e turchi.

Un viaggio realizzato grazie al contributo dell’Unione Europea che ha permesso ai partecipanti di trascorrere una settimana in Turchia nell’antichissima città di Şanlıurfa nell’omonima provincia al confine con la Siria.

 

Rispetto, integrazione e comprensione sono state le parole d’ordine per questi ragazzi dai 18 ai 35 anni, che si sono dovuti scontrare con una realtà diversa da quella a cui sono stati abituati, caratterizzata da cultura islamica e religione musulmana.

 

Tra le varie tappe del progetto i ragazzi hanno avuto modo di apprezzare alcuni musei, incontrare il sindaco e visitare il centro storico della città, culla della cultura mondiale poichè situata nell’antica Mesopotamia e presunta città natale del patriarca Abramo. Di forte impatto è stata la visita ad un centro femminile in una zona molto povera della città. Qui le donne potevano contare su volontari dediti all’educazione dei loro figli, inoltre potevano usufruire di corsi di cucito, pittura, parrucchiere, aera lavanderia e altri servizi che sarebbero stati di difficile accesso. I bambini strappati alle strade e probabilmente al mondo della delinquenza e dell’elemosina, potevano avere una speranza quanto meno di sviluppare consapevolezza di se stessi rispetto al mondo esterno.

 

Per ricordare il dolore per la morte dei minatori nel disastro di Soma i ragazzi, muniti di bandiere delle proprie nazioni, hanno realizzato un flash mob in un centro commerciale per dimostrare quanto tutti indistintamente fossero vicini al popolo turco per questa orribile tragedia.

 

Il viaggio è proseguito con la visita del villaggio di Halfeti, situato sulla riva dell’Eufrate, uno dei fiumi più importanti della storia, che insieme al Tigri ha fatto da contorno e ha favorito la nascita della civiltà in quell’antica terra che prendeva il nome di Mesopotamia. I ragazzi hanno avuto modo di percorrere qualche chilometro a bordo di un battello in uno scenario quasi paradisiaco contraddistinto da rive a strapiombo sul fiume e hanno potuto fare qualche tuffo in quelle acque di cui si parla tanto nei libri scolastici. In seguito hanno visitato il villaggio.Molto significativa la visita al complesso archeologico , tempio oggi classificato il più antico del mondo. Ultima ma non meno importante, la visita del centro storico, del mercato e della moschea di Sanliurfa.

 

Le cultural night hanno permesso ai ragazzi di conoscere le nazioni degli altri partecipanti attraverso presentazioni, degustazioni di cibi e bevande, balli e costumi tipici. I partecipanti italiani hanno mostrato un video sull’Italia e uno della Sardegna e in seguito hanno eseguito un tipico ballo e offerto i prodotti dell’isola: carasau, guttiau, pistoccu, pardule e formaggi ampiamente apprezzati da tutti.

 

Oltre al lato culturale, il progetto è stato caratterizzato da un forte impatto affettivo. I legami tra i vari partecipanti hanno lasciato un segno importante, difficile da scordare.

 

“Spesso qualcuno ti avrà parlato di viaggio. Tanto spesso questa parola non fa più caldo né freddo, ma è un po’ come la morte, pare non faccia più impressione ma tutti la evitano come la peste. Afferma Gabriele Lorrai, partecipante di Urzulei”. ”Son partito a Sanliurfa mosso proprio da questa paura, la paura di rompere gli schemi. Paradossale no ? N’è valsa la pena. Tuffati nella vita e imparerai a nuotare. Io mi son tuffato nell’Eufrate, nei mercatini colorati da spezie, peperoni, uvetta e mille pentolini in rame. Ho nuotato fra le mura di moschee e fra le sculture d’un villaggio archeologico nato in un periodo in cui gli egizi dormivano ancora, ma ancor più belle le acque che ho trovato nella gente. Difficile scordare la sofferenza nella scuola di rifugiati siriani, il bisogno di abbracci nei loro occhi e l’amore dei loro insegnanti. Vedere tutte queste realtà, leggerle negli occhi dei passanti, dei lavoratori nei campi, nei mercanti, ti fa capire che un “diverso” realmente non esiste. Ecco cosa mi ha insegnato questo viaggio, come ogni viaggio vuole insegnare, l’andare oltre, il prendere una zattera, un aereo o un mulo e andare oltre.”

 

 

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