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I sardi della mezzaluna

Vi è mai capitato di salire in una delle tanti torri costiere dei nostri litorali e immaginare una nave moresca con a bordo dei corsari armati di scimitarre e turbanti in testa, navigare all’orizzonte? L’idea che noi abbiamo dei pirati è legata soprattutto alla iconografia cristiana o a quella della tradizione popolare: pelle scura, labbra carnose, naso grosso e arcate sopraciliari prominenti. Questa descrizione forse si addice bene ai Saraceni, ossia a quelle popolazioni di origine araba che tra VIII e XI secolo devastarono il Mediterraneo con le loro invasioni e loro scorrerie, ma non ai corsari Barbareschi. Ma chi erano costoro? Barbareschi erano così chiamati quegli abitanti del Nord Africa che tra il XVI e XVIII secolo fondarono le Reggenze Barbaresche, stati vassalli dell’Impero Ottomano le cui principali attività erano la pirateria e la guerra di corsa. Nonostante i Barbareschi vengano comunemente chiamati “Mori”, gli equipaggi delle loro navi erano formati quasi tutti da europei, essendo soprattutto cristiani che avevano rinnegato la loro fede o che, rapiti in tenera età, erano stati educati secondo i precetti del credo islamico. Si pensa che ad Algeri, sul finire del Cinquecento, il numero dei cristiani che avevano abiurato si aggirasse intorno ai 6000, di cui oltre 1200 donne.

Molti di questi, grazie alla loro intraprendenza, fecero carriera e ottennero cariche di grande rilievo politico e militare. Per esempio Khayr al-Dīn, detto Barbarossa, primo re di Algeri, era figlio di un cristiano della Romelia; Uccialì, alias Giovanni Galeni, ammiraglio della flotta ottomana, era calabrese; Scipione Cigala, Gran Visir della Sublime Porta, era Genovese. Anche alcuni sardi fecero strada grazie alla fluidità sociale del mondo ottomano. Tra di essi si distinse sicuramente Hassan-Agà, un pastorello sardo dell’Asinara rapito all’età di circa dieci anni da Kheir ed-Dinn, secondo re di Algeri. Portato in Africa, divenne il figlio putativo di Kheir ed-Dinn, che lo fece convertire all’Islam e lo educò secondo la consuetudine musulmana. Hassan-Agà difese eroicamente Algeri dalla flotta di Carlo V, impedendone la caduta. Barbarossa, da comandante della flotta, alla sua morte lo nominò Califfo di Algeri, cosa che non gli impedì di condurre personalmente altre spedizioni corsare, alcune delle quali proprio contro la Sardegna nel 1541 e nel 1542. Anche Muràd, detto Mouràr Rais, corsaro di Algeri, per alcune fonti, era un rinnegato di origine sarda. Sicuramente sardo era Ramadan Pascià il Sardo, rapito in giovane età sulle coste dell’isola. Fu governatore di Tunisi e Tripoli, ammiraglio della flotta turca per conto del sultano Solimano il Magnifico e, per ben due volte, re di Algeri (tra il 1574-77 e nel 1582). Originario di Carloforte era Ciuffo, che si era trasferito sul finire del 1700 insieme al figlio e ad altri sardi a Tunisi. Divenne Raìs e condusse diversi attacchi ai danni delle coste sarde, per poi riconvertirsi al cristianesimo.

Insomma, come abbiamo visto, per tutta l’Età Moderna, a preoccupare i sonni degli abitanti delle coste sarde più che Mori dalla pelle olivastra e dai tratti mediorientali erano soprattutto ex cristiani, in molti casi proprio sardi. Le autorità spagnole prima e quelle piemontesi poi cercarono in ogni modo di nascondere l’esistenza di questi traditori, enfatizzando soprattutto l’aspetto religioso del conflitto. In questo modo, così come accade anche oggi, si diffondeva nei sudditi la convinzione di combattere un nemico esterno, il che rappresentava per i governanti un pratico strumento che serviva a distogliere l’attenzione del popolo dai problemi interni. Questo dovrebbe farci riflettere sul concetto di “nemico” e sul senso si frontiera che spesso viene creato ad arte in occasione di conflitti e di guerre dettate da interessi economici e da sete di potere. Pensiamoci, d’ora in poi, ogni volta che guardiamo il mare.

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